♰ Capitolo 20: Il demone (bad boy) senza cuore ♰

Mentre mi addentro verso l’immenso atrio al centro della sala di ingresso, tutto si deforma.

Una soglia si spalanca nel vuoto e l’aria si fa bianchissima, come luce fatta di latte.
Il tempo rallenta. I pensieri evaporano.
E all’improvviso…
tutto si trasforma.

Davanti a me, il college dell’Occulto si dispiega come in una visione ultraterrena:
All’interno sembra la Grande Moschea di Abu Dhabi, ma immersa in una dimensione onirica,
più luminosa di quella originale e allo stesso tempo piu cupa.

Perché è la sua esatta copia ma anziché essere di un bianco divino, è tutta fatta di nero.
Gotica, tenebrosa, come le creature che lo abitano.

I dettagli floreali in oro si susseguono in una prospettiva infinita,come se qualcuno avesse scolpito la luce in forme perfette.
Il marmo nero scintillante brilla sotto i miei piedi, così lucido da riflettere i miei dubbi.
Intorno a me, archi moreschi si intrecciano come mani in preghiera.

I mosaici floreali sui pavimenti sembrano animarsi, muovendosi appena, come se respirassero.

E io — io non respiro più.

Tutto è troppo puro.
Troppo sacro.
Troppo “altro”.

In questa nuova dimensione mi perdo.

Ed è proprio in questa stanza quasi onirica fatta di nero scintillante come un buco nero arabo che ti ingloba che le vedo.

Donne.
Centinaia di donne.
Tutte vestite con abiti cerimoniali, ma ognuna diversa: veli bianchi, kimono celesti, tuniche nere, sari trasparenti, ali leggere e evanescenti che brillano al contatto con la luce.

Nessuna è uguale all’altra.

Camminano scalze sul marmo, come impazzite e in preda ai deliri, lasciando dietro di sé scie profumate di oud, fiori notturni e sogni infranti. Urlando e dimenandosi.

Si muovono come in un rituale.
Si muovono come se non fossero più coscienti di chi sono né dove si trovano.
E poi — come spinte da un’onda interiore —
alzano tutte la testa e gridano insieme:

«Inari Ren!»
«Inari Ren perché mi hai lasciata?!»
«Perché hai preferito me a lei?!»

L’eco rimbalza tra i pilastri.
Come una preghiera maledetta.
O una dichiarazione d’amore.
O come una follia collettiva.

«Perché non mi ami, Inari Ren, dopo tutto quello che abbiamo passato?!»
«Cosa hanno le altre che io non ho?!»
«Se non puoi essere mio non sarai di nessun altra!»

Una si inginocchia e bacia il marmo sperando che sia lui.
Un’altra si strappa il velo come atto di rinnegamento al suo Dio.
Un’altra ancora ha inciso il nome di Inari sulle braccia e le mani con l’henne per portarlo sempre con sé.

Mi pietrifico per quella visione angosciante.
Mi sento intrusa in un culto reso sacro dal sentimento d’amore e blasfemo perché non sarà mai corrisposto.

È come se Inari non fosse solo un demone.
Ma un dio che queste donne amano e idolatrano.

Una mi guarda.
Ha occhi rossi e pelle d’alabastro.

Mi scruta.

«Tu l’hai visto da vicino… vero?
Lui ti ha parlato.
Ha toccato la tua aura.»

Sembra impazzita.
Gelosa di me che non l’ho mai visto in faccia.

Io non rispondo.
Inutile parlare con chi è fuori di sé.

La luce candida attorno a noi comincia a vibrare.
L’aria sa di incenso e gelo.

Queste donne mi fanno compassione perché sono come possedute dal sentimento dall’amore non corrisposto.

Inari deve averle traviate con le sue arti illusorie.
Quel demone bastardo e maledetto!

Sono tutte diverse.
Ma anche tutte uguali nel loro modo di amarlo: con violenza, passione e anche una certa dose di follia.
Vestite di bianco o d’oro o di nulla.
Sirene, angeli, principesse gotiche, streghe dell’acqua, idol in pensione a 30 anni, vergini impure.
Tutte con lo sguardo febbrile.
Tutte in ginocchio.
Tutte in delirio.

«Inari Ren!» urlano in quell’atrio.

Ma chi le guarda sembra abituato alla cosa.
Non sembrano stupiti che qualcuno ce l’abbia con Inari Ren per qualche motivo.
Il nome riecheggia come un grido di amore e odio come un un verso di Catullo per la sua perfida Saffo.

«Inari Ren, dove sei? » urlano e si dimenano. «Ho strappato il mio cuore per darlo a te, e tu lo hai usato come plettro per la tua chitarra dannata!»

Una cade a terra, stremata.
Comincia a graffiarsi il viso.
Un’altra si frusta con una cintura di perle come espiazione dei peccati.
Una terza solleva un incenso ardente e si ustiona le labbra per attirare la sua attenzione e fare compassione, tenendolo legato a sé con il senso di colpa.
Una quarta scrive col sangue sulle lastre di marmo:
“SE NON POSSO ESSERE SCELTA, UCCIDERÒ TUTTE LE ALTRE.”

Un’altra ancora cerca di rubargli ciò che lui ama per ricattarlo emotivamente.
Chiede alla sua band cosa brama di più con l’obiettivo di portarglielo via.
Così che lui sarà costretto a sceglierla se/ quando rivorrà quella cosa indietro.

Sono bellissime e devastate.
Sembrano martiri di una religione inventata dal desiderio.
Il loro amore è farmaco e veleno: amore che guarisce e che avvelena.
Il loro grido è una messa urlata.
Una bestemmia erotica che nessun dio ha il coraggio di ascoltare.

Una mi vede.
Si alza, traballante, con le mani tremanti.
Ha il volto rigato di lacrime e l’aria di chi ha visto troppi finali alternativi nei sogni.

«Tu sei quella.
Quella che lui ha guardato, vero?
Adesso sta con te, non è vero?»

Mi accusa in preda ai deliri.
A me che non gli ho mai rivolto la parola.

Mi sento il cuore esplodere.

Un’altra si alza.
Poi un’altra.
E un’altra ancora.

Iniziano ad avvicinarsi.
Scalze.
Sante isteriche.
Madonne spezzate.

I loro occhi…
non chiedono spiegazioni.
Chiedono redenzione.
Chiedono sangue.

E io non so se sto per combattere inginocchiarmi anch’io.
Perché Inari Ren sembra davvero un Dio per come si comportano…
E queste ragazze sembrano essere la sua cattedrale.
Tutte si struggono per lui.
Ma non come si soffre per un amore terrestre.
No.
Lo amano come si ama un dio crudele, che ti promette di esserci ma che nel frattempo non si fa mai vedere.

Hanno fatto del suo nome un rosario rovesciato,
che recitano nel sonno, nei sogni, nei momenti di solitudine…
C’è chi lo ha inciso sulla pelle con inchiostro, chi lo ha ricamato sulle federe del proprio cuscino.

Piangono senza pianto.
Si lasciano morire in pose teatrali, come eroine di tragedie greche che hanno letto troppo Shakespeare e troppa fanfiction.

Una lo dipinge col proprio sangue sulle unghie.
Una lo scolpisce nel marmo con un ago da sutura.
Una si è fatta tatuare la sua aura (o ciò che crede sia la sua aura) sulla clavicola.

Una minaccia di fare seppuku.
Con una compagna che regge una katana tra le mani per darle il colpo di grazia.

Raccontano di quando lui ha sorriso.
Di quando ha guardato.
Di quando ha distrutto.

E per ognuna, quello sguardo, quel gesto,
è stato una folgorazione.

Non si innamorano:
si convertono.

I loro corpi sono offerti come templi decadenti.
Ogni bocca chiusa per non bestemmiare il suo nome.
Ogni ginocchio spezzato in preghiera.
Ogni sguardo in alto, verso un volto che non risponde mai.

Lo aspettano in silenzio, come si aspetta la fine del mondo.
E intanto gli dedicano canti, e lettere mai inviate,
e lacrime versate in ampolle.

“Se non posso averlo,” sussurra una, mentre inizia a picchiare le sue vicine, “allora voglio almeno essere quella che lo ama più di tutte.”

Perché non cercano la reciprocità.
Cercano il martirio.
L’onore di essere spezzate da lui.

E così… si struggono.
Non per un amore che salva.
Ma per l’illusione di una passione che distrugge con grazia e tormento.

Una di loro si spoglia.
Completamente.
Con una lentezza rituale, come se ogni pezzo di stoffa tolto fosse un petalo in offerta.

Non lo fa per provocare.
Non lo fa per mostrarsi.
Lo fa per darsi in pasto al suo nome.

Si inginocchia sul marmo sacro.
I capelli le coprono a malapena il volto,
le mani giunte sopra il cuore come in una preghiera muta,il corpo vulnerabile come un vaso d’avorio incrinato.

«Portami con te…» sussurra.
«Bruciami. Distruggimi. Fammi tua.»

E quel momento, quell’immagine, quel delirio amoroso…

mi spezza qualcosa dentro.

Mi stringo lo shamisen al petto.
Sento le corde pulsare.
Come se sapessero.
Come se mi stessero dicendo: adesso.

«Basta.»
La mia voce è un sussurro, ma rimbomba come un tuono.

I passi mi portano verso di lei.
Non tremo.
Voglio salvarla da quel sogno.
Sono piena di fuoco.
Il suo della giustizia divina infusa in me.
Quella spinta interna che ti fa perseguire il giusto.

Mi inginocchio accanto a lei.
Le sue labbra tremano.
I suoi occhi sono vuoti.

Inizio a cantare per lei.

🎵 «Nessuno ti ha insegnato che l’amore non è sacrificio?
Che non bisogna offrire tutto per ricevere uno sguardo?
Che chi ti ama non ti spezza… ma ti fa stare bene?»

Gliele canto addosso queste parole.

Impugnando il mio shamisen perlato e mezzo rotto.

🎵<< Guardati,
Hai il nome di lui inciso sulla pelle
Pendi dalle sue labbra come se fossero preghiere.

Ma non è amore se ti toglie respiro,
Quello è solo un raggiro
non è amore se ti svuoti per restargli vicino.>>

Voglio che lei capisca che il suo modo di amare è sbagliato.
Perciò continuo:

<<Ti hanno detto che l’amore è sacrificio.
Ti hanno detto che amare vuol dire martirio.
Ti hanno mentito.
Sorella mia, ascoltami,
ti hanno mentito.>>

Lei non risponde.
Allora canto più forte.

🎤<<Nessuno ti ha insegnato
che l’amore non dovrebbe fare male?
Che non devi offrire il cuore
A chi non ti sa amare?
Che il cuore non è un rogo da bruciare
Ma un tempio da preservare?

Nessuno ti ha detto
che l’amore non è guerra?
Che chi ti ama…
Ti apprezza?
Devi scegliere chi ti merita>>

Twang ancora un altro colpo di shamisen.

🎤 <<Hai pregato il suo sguardo più di Dio.
Volevi che fosse solo tuo.
Hai scritto lettere che non leggerà mai.
Ti sei messa a nudo per qualcuno che non avrai
Non avrai mai.
perché volevi che ti vedesse.
Che ti scegliesse.
L’amore non dovrebbe far male
Dovrebbe essere una carezza alla libido
Una cura per il tuo essere.

Ma non si mendica amore.
Non si baratta l’anima per una carezza.
Vai da chi ti apprezza.
Vai da chi ha cuore.
Da chi può dare calore.
E se ti ha vista, e ha scelto di andare…
non è un dio.
È qualcuno che non merita amore.>>

Twang.
È un colpo sul cuore.
Un’onda che attraversa lo spazio bianco della Moschea mutata in nero.

Twang. Twang.
Due note tagliano il silenzio come fendenti di luce.

E continuo a suonare.
Ripetutamente.
Con tutto il cuore che ho.
Con il sangue, con le cicatrici che mi porto addosso, con la compassione, con la furia.

Per la compassione che queste donne mi provocano.

Non è solo musica.
È esorcismo.
È poesia.
È verità.

La musica ha il potere di sussurrare alle anime in pena e provocare piacere e una guida all’anima confusa.

La melodia sale, si torce, si innalza, trasportata da tutte le note che non ho mai avuto il coraggio di pronunciare.

Le ragazze si zittiscono.
La nudità della giovane non è più un’offerta,
ma una ferita esposta al vento che adesso cercherò di coprire.

La sua schiena comincia a tremare.
Le mani si stringono.
Gli occhi si riempiono di lacrime.
E poi — crolla su di me.

Canto e suono per farla risvegliare dal suo sogno illusorio d’amore.

<<🎤Nessuno ti ha insegnato… ma adesso ci sei tu.”
Adesso ci siamo noi.
Cerca altrove l’amore che vuoi.
Cerca altrove l’amore che vuoi.>>

Il silenzio cade come un sipario sospeso.
Le corde dello shamisen tremano ancora nelle mie dita.
Ho appena strappato una giovane dal suo sogno santo di oblio.

Ma una mano mi blocca il braccio.
È Asura, insieme a Jinn, Lucifer, Daimon.
Tutti cercano di fermarmi.

La DBC al completo mi intima di fermare il mio canto per consentire a queste giovani deliranti di svegliarsi.

Jinn mi spinge indietro, sguardo grave ma carico di un dolore cinico.
«Nym, fermati.»

Non capisco.
Perché mi blocca?
Cosa c’è di sbagliato nel salvare delle ragazze che soffrono?

Lucifer allunga la mano verso di lei, la ragazza ora rannicchiata ai miei piedi.
«Non sai cos’è il Torneo dei Cuori? Non sai che ci stai facendo perdere?»
La sua voce è un sussurro febbrile.
Ma contiene un comando che mi paralizza.

Asura, alle sue spalle, scuote la testa.
Io non comprendo cosa dicono.
Ma loro non esitano a spiegare:
«Se riporti queste ragazze alla realtà, fai perdere punti a Inari Ren per il torneo finale.
E stai certa che te la farà pagare.
Loro — le altre — devono restare nel sogno almeno finché non perderanno il loro cuore.
Solo così Inari guadagnerà punti.>>

Dicono così.
Con leggerezza.
Mentre io penso che sia unacosa orribile da fare a un essere umano.

Il mio respiro si blocca nel petto.
«Torneo dei cuori?» mi chiedo tra me.

Chissà in che cosa consisterà e perché occorre fare una cosa del genere.

Ma loro anticipano il mio pensiero e rispondono per me.
Altro mansplaning.

«Ogni anno,» spiega Lucifer, «Noi demoni competiamo su chi conquista più cuori nel corso dell’anno.»

Un torneo su chi conquista più cuori?
Mi sembra una cosa orribile da fare a un essere umano!

Jinn mi guarda di nuovo.
«Capisci cosa intendiamo, umana? Se porti le altri a rinsavire, farai perdere punti.
E Inari Ren si incazzerà a morte con te.
Ti conviene fermarti.»

Mi ritraggo.
Uno scatto.
Mi piego, guardo la ragazza salvata: gli occhi sono ancora appannati dalla collera e dalla confusione.
Non so se sta piangendo o ridendo.
Quel che conta: l’ho salvata da una gabbia dorata.
Da una gabbia fatta di illusioni.
Ma a quale prezzo?
Se adesso mi getterò addosso l’ira di Inari Ren?

Lucifer si avvicina.
«Tu non puoi pensare in termini di buona azione.
Qui il bene è relativo.
Come lo è anche il male.
E il torneo… è l’unico modo per ottenere un desiderio da Dio.»

Il silenzio riprende possesso dell’aula.
Tutti sentono quel peso.

Io estendo la mano alla ragazza.
«Non mi importa quali saranno le conseguenze.»
Lascio che lei si alzi.
Perché sento il bisogno di proteggerla.
«Io… voglio salvarle tutte quante: non ho paura di Inari Ren.»

Jinn scuote lentamente la testa.
«Non sai cosa rischi, piccola.» tocca la mia testa come se fossi un piccolo pet. «Ti sfiderà a duello e tu, a quel punto non potrai rifiutare…»
Ignoro il suo avvertimento.
Poi…
D’un tratto…

L’aria si lacera.
Come se la realtà avesse smesso, per un istante, di reggere il gioco delle apparenze.

Un’ombra attraversa l’aula.

Sento qualcosa alle mie spalle.

Tutti si girano.
Anche gli spiriti. Anche i morti.
Anche Dio dall’alto dei cieli, forse.

E lì, in mezzo a quel vuoto di fiato trattenuto, appare lui.

𓆩 𝐈𝐧𝐚𝐫𝐢 𝐑𝐞𝐧 𓆪
Il demone senza cuore.
Mentre mi sta fissando per aver interrotto il suo gioco.

Demone kitsune tutto vestito di nero.
Idol della perdizione.
Labbra carnose, occhi rosso sangue – due rubini anneriti dalla collera.
Pupille tagliate, come un sigillo maledetto.
Capelli neri come un crimine mai confessato.
La pelle pallida, sfiorata da un bagliore lunare che illumina ma non scalda.
Tutto di lui grida «𝘦𝘳𝘳𝘰𝘳𝘦», eppure nessuno riesce a distogliere lo sguardo per quanto è maledettamente bello.

Non c’è nessuno spiraglio di luce in lui.

Inizia a parlare. In un modo che mi fa raggelare il sangue nelle vene.

«Chi ha rovinato il mio punteggio?»

Silenzio.
Perfino il pavimento sembra aver paura di scricchiolare.
Il suo sguardo brucia me.

E nel fondo delle sue iridi… non c’è compassione.
Solo desiderio di distruggere ogni cosa.

Poi un sorriso perfido.
Uno di quelli che precedono la carneficina.

E io in quel momento, solo in quel momento me ne rendo conto…

SONO FOTTUTA.