Inari appare da dietro la mia schiena.
O forse… è sempre stato lì.
Nascosto dal favore delle tenebre che lo incastonano nell’ombra come i segreti che vanno tenuti nascosti.
Sta lì a guardarmi.
A ispezionarmi.
A sezionarmi lentamente, dall’alto in basso, come chi viene percepito come inferiore.
Mi possiede con lo sguardo.
In silenzio, fuma.
Con quell’aria intimidatoria che appartiene solo a chi sa di poter distruggere senza nemmeno parlare.
Con la calma spietata di chi non ha bisogno di alzare la voce per far tremare la stanza.
Fuma qualcosa che non emette il tipico odore delle combustioni di sigarette. Ma qualcosa che profuma come sogni reconditi e desideri inespressi.
Quel fumo non intossica.
Ipnotizza.
Sa di pace nel cuore.
È una nube violacea che ondeggia nell’aria come una carezza liquida.
Fuma attraverso una strana pipa trasparente da dandy che tiene tra le dita, e che brucia quella sostanza innaturale, magica, mistica… come se non stesse solo consumando tabacco, ma qualcosa di “altro” che non comprendo.

Ogni volta che tira una boccata, un’aroma dolce e crudele si diffonde nell’aria.
Non fumo.
Ma qualcosa che sa di pelle.
Di sogno.
Di carne baciata.
Di notti di passione.
Mi accorgo che quel fumo ha qualcosa di strano al suo interno.
Come una potente magia.
Che tuttavia non riconosco.
L’odore è intriso di amore e odio allo stesso tempo.
Sa di umori che fuori escono quando si ama.
Quando si è consumati da una passione senza controllo, quando il corpo si arrende al piacere durante l’orgasmo.
Sa di desideri inconfessabili.
Mi arriva addosso come qualcosa che è in me ma che seppellisco da tempo.
Lui mi fuma addosso.
Per spaventarmi.
E io mi accorgo che non è una semplice abitudine per lui.
È un bisogno impellente.
Una dipendenza…
Qualcosa che che lo calma e lo consola.
Forse perché adesso è in collera con me.
Mi fuma addosso per placare il suo desiderio di sterminarmi seduta stante.
Lo guardo in silenzio.
Le pupille strette come fendenti.
La rabbia contenuta sotto una maschera di eleganza pronta ad esplodere.
Quegli occhi rossi e dannati.
Gli occhi di chi sa fare male.
«Hai rovinato il punteggio della mia partita, ragazzetta scema.»
La sua voce è profana.
Come un sasso lanciato sopra la vetrata colorata di una chiesa, percorsa dalla luce divina.
Un atto di vandalismo spirituale.
«cattiva, cattiva, cattiva ragazza…»
Lo dice cantilenando, con la voce bassa, rovinata dal fumo, come se stesse assaporando ogni sillaba sulla lingua. perché sa — è consapevole — che mi sta terrorizzando a morte con i suoi modi di fare.
Lo fa come se pronunciarlo gli desse piacere.
Ogni suo “cattiva ragazza” è una carezza verbale, una punizione sensuale che si gode nel darmi per farti paura.
Mi lancia addosso quel suo fumo peccaminoso.
E continua a parlare.
«Che cosa ti fa pensare di avere il diritto di intrometterti nei miei affari, essere umano?
Tu essere inferiore?
Ragazzina scema?»
La sua voce si abbassa.
Si fa stridore nel vetro per quanto è fastidiosa nella sua verità.
«Se queste ragazze sono ridotte così… è solo colpa loro.
Colpa della loro vanità.
La vanità sciocca e arrogante di chi crede di poter conquistare l’inconquistabile.»
Inclina il capo.
«Di chi confonde il desiderio con l’amore.
E l’amore… con il diritto di possesso.
Se soffrono e perdono il cuore è colpa loro.
Io non ho fatto niente!.»
Sogghigna.
Ma quello non è solo un sorriso.
È una condanna poetica.
«Io non rubo nulla. Io raccolgo soltanto! perché, tanto, l’hanno già perso comunque.
E a quel punto… tanto vale usarlo.
Farne un buon libro.
O una canzone.»
La brace illumina il suo volto.
Lui fa un’altra boccata.
Per un attimo, non sembra umano.
Poi mi ricordo che in effetti non lo è.
Tutto in lui è divino.
È il tipo di bellezza che non ti chiede di guardarlo.
Te lo ordina.
Anche se sai che è sbagliato.
Anche se non vorresti desiderarlo in quel modo.
Perché è malvagio.
È cattivo.
È sbagliato.
I suoi discorsi sono oltre i limiti del bene del male.
Ma hanno un fondo di verità.
Sono lucidi e razionali.
Tanto che ti portano a dubitare sul fatto se lui abbia più o meno ragione.
Capelli neri e mossi, come il manto notturno che ha dimenticato le sue stelle.
Come la luce che muore al suo contatto.
Folti, selvaggi, vivi.
Ogni ciocca sembra muoversi come scossa da un vento divino in preda all’estasi.
Gli occhi, rossi.
Non come il sangue.
Come il vino versato da due amanti prima di una notte di passione su lenzuola di velluto morbido.
La bocca disegnata con precisione crudele, né troppo piena, fatta per dire verità scomode.
Verità come quella che ha appena detto.
Verità razionali che ti costringono a guardarti dentro.
E per questo ti fanno arrabbiare.
Il suo sorriso non consola, ti scolpisce qualcosa nell’anima.
Cammina come chi sa che il mondo si piega dove passa.
Lo guardo e mi rendo conto che Inari Ren non è solo un demone.
È la somma dei desideri mai confessati di queste donne urlanti che vogliono il suo amore ad ogni costo.
Ogni suo gesto è una lirica decadente.
Ogni suo silenzio è un verso erotico lasciato a metà.
Il nero, poi, è il suo colore.
È ciò lo rappresenta.
Tutto in lui è oscurità.
Malvagio e perfido.
Non c’è luce nei suoi abiti.
Come non c’è luce in lui che è solo male.
Completamente avvolto da incubo e tormento.
Dannazione eterna.
È il tipo di creatura che Nietzsche avrebbe chiamato “oltre-uomo”.
Perché si atteggia come tale.
La sua presenza mi inquieta.
Cerco d’istinto il conforto degli altri demoni della sua band.
I miei nemici.
Perché la sua presenza mi fa paura.
Lo faccio senza pensare.
Per proteggermi da un nemico più grande.
Senza un programma.
Alla cieca.
Come chi cerca un’uscita d’emergenza in un edificio in fiamme.
Perché il suo sguardo su di me mi fa tremare.
Ma Jinn mi blocca con una mano.
Sorride.
Con quello sguardo da diavolo che confonde.
La sua pelle è fredda.
La presa, leggera.
Ma il gesto… definitivo.
Ha lo sguardo da diavolo educato, che sa come confondere prima di consumare.
Uno sguardo che non salva.
Ti studia. Ti scrive.
«Lo sai cos’è quello che sta fumando, vero?» scivola con voce morbida su di me.
Ha il tono intimo di una confessione.
Scuoto la testa perché non so.
E qualcosa mi dice che non dovrei indagare.
Ma lui da solo risponde alle mie domande.
Forse per giocare con la mia mente. Attratto dalla mia paura.
Forse anche lui vuole rubarmi il cuore.
«Beh, sappi, Nym» mi sussurra all’orecchio. «Che se sta fumando adesso… vuol dire che è nervoso. Nervoso a causa tua. Quindi io, fossi in te, inizierei ad avere paura.»
Jinn abbassa lo sguardo, ma il sorriso gli resta sulle labbra, come chi ha imparato a divertirsi del dolore altrui.
«E se Inari Ren è nervoso…»
fa una pausa lenta, quasi a gustarsi l’effetto di quelle parole su di me,
«…beh, sei fregata.
Seriamente fottuta.
Temo non solo per te, eh.
Ma per tutto il college.
E per il mondo intero.»
Il mio cuore accelera.
Scuoto la testa, ostinata, ma già so che sto per sentire qualcosa che mi farà rabbrividire.
Una confessione oltre i confini del bene e del male.
«Quello che inala… non è fumo qualunque, Nym»
mormora con quella voce intima che sa di un bisbiglio blasfemo sussurrato in chiesa.
«È profumo.
Ma non un profumo qualsiasi.
È l’estratto distillato di donne.»
Fa una pausa.
Vuole che io capisca.
«Hai presente Grenouille? Il protagonista de Il Profumo di Süskind?
Quel mostro che uccideva le ragazze per catturarne l’essenza… e rinchiuderla in un flacone?»
Mi guarda.
Io deglutisco.
Penso già di aver capito…
«Ecco. Inari si fa confezionare da lui la sua miscela di donna.
Solo che non se le fa mettere in una bottiglia per un profumo.
Lui lo fuma.
Lo inala.
Le respira dentro di sé, inspira queste donne, le consuma come atto ricreativo per calmarsi.»
La notizia mi sconvolge.
Perché in quell’istante comprendo — con una lucidità che fa male — che Inari Ren, quel demone lussurioso e idolatrato dalle donne, quel dio capriccioso e insensibile che guarda solo se stesso e mai gli altri, sta fumando davanti ai miei occhi essenza di donne distillate.
Lo fa senza pudore.
Senza rimorsi.
Forse cercando di instillare gelosia.
Davanti ai miei occhi di donna.
Senza veli a coprire la crudeltà del gesto.
Occhi in cui riconoscono quella fame d’amore, perché l’ho provata.
Un brivido mi attraversa, perché un po’, quell’essere, nella sua ricerca di amore, lo comprendo.
E la cosa mi fa orrore.
Quel kitsune non è solo pericoloso.
Non solo perché risveglia zone d’ombra in me stessa, ma anche perché appare affamato.
Bramoso dell’amore che consuma sottoforma di fumo.
«Quindi—»
Mi esce un sussurro, incrinato dal disgusto… o dalla fascinazione che provo per quel demone moralmente instabile.
Perché c’è qualcosa di irresistibile nella rovina quando sa di bellezza.
«Sì,» annuisce Daimon. «Inari Ren è in astinenza da donne al momento.
Quando non ci va a letto, lui le fuma sottoforma di vape.
Ha bisogno dell’odore di donna per non… impazzire e per sopportare la vita ogni giorno.
Ogni fumo colorato che vedi è una donna diversa.
Lui le distilla.
Le inala.
Le consuma.
Poi loro svaniscono dal suo pensiero.»
Una dipendenza da amore sublimato in combustione, insomma.
Daimon sospira, come contrariato.
Non con pietà, ma con quella saggezza elegante che solo i dannati millenari possono acquisire nella loro esperienza.
«Tutti i demoni hanno una droga.
La sua… sono le donne.
Quindi stagli lontano, ragazzina.
Perché potresti diventare il suo prossimo profumo da inglobare.
Da consumare.»
Mi tremano le mani.
L’idea di poter essere usata con leggerezza, come una sigaretta aromatica accesa per noia, aspirata lentamente, gustata, e poi dimenticata tra le dita perfette di quell’essere senza cuore mi intriga.
Lo ammetto.
È un pensiero che mi sfiora le viscere, che mi morde da dentro, che mi fa tremare le gambe.
Forse perché — in fondo — sono un po’ malata.
E godo nel dolore.
Nel rischio.
Nel pensiero di dissolvermi tra le mani di qualcuno che non può amare
Eppure…
c’è qualcosa che si contorce dentro di me.
Una vertigine che non ha nome.
Un’angoscia sottile e dolce, come un brivido.
Una strana inquietudine.
Inspiegabile.
Inconfessabile
Come se il mio corpo sapesse qualcosa che la mia mente finge di ignorare..
E questa verità è che quel demone mi ripugna ma mi attrae allo stesso tempo.
Forse per i suoi poteri innati.
Forse perché è meraviglioso da fare male.
Quindi devo stare attenta.
Non devo mai abbassare la guardia.
Neanche per un istante.
… Anche se l’ho già fatto.
Inari si volta verso di me.
Ripone la sua pipa trasparente in una custodia nera, rifinita in pelle.
Un lieve sfrigolio si sente nella stanza a causa di quel movimento di vetro.
E un odore di passione di donna si sprigiona nell’aria.
Lui che fino a quel momento era rimasto in silenzio, muove la bocca per parlare.
«Se vuoi salvare qualcuna, piccola, comincia da te stessa.
Perchè te lo dico: da adesso in poi tu sei nei guai.»
Dice.
E sorride.
Un sorriso così bello che potrebbe uccidere chiunque.
Ogni suo silenzio è un verso erotico lasciato a metà in attesa di te e completarlo, come un renga.
Ciò che è mi attrae.
Ma mi ricordo che lui è il nemico.
E che devo stare in guardia.
Ma è in quel momento pieno di riflessioni su di lui che Inari fa una cosa che non mi aspetto.
Forse per dimostrarmi qualcosa.
Forse per dirmi che nonostante i miei sforzi di ostacolarlo, io non ho potere su di lui.
Perché lui vincerà sempre.
Ottenendo ogni volta ciò che vuole.
Si avvicina a una delle ragazze in ginocchio.
Una trema.
Non di paura, ma di devozione per lui.
Gli prende il viso tra le dita.
Con una dolcezza che spezza.
«Sei pronta?»
Le sussurra, con tenerezza.
La ragazza annuisce.
Gli occhi le brillano di amore.
Le lacrime le rigano le guance.
Sorride.
E allora…
solo allora…
accade.
Lui appoggia una mano sul suo petto.
Senza toccarla.
Solo sfiorandola.
Un fremito attraversa il corpo della ragazza.
Le palpebre le si abbassano.
Si inarca.
Come se l’estasi avesse deciso di agitarsi dentro di lei.
Come un orgasmo.
Dalle sue labbra esce un gemito.
Ma non di dolore.
Di perdita sublime.
Di abbandono a lui.
E lì — dal centro del petto nudo di quella ragazza, qualcosa comincia a uscire.
Un fumo cangiante di colori.
Mille colori diversi.
La sua anima.
L’anima di quella ragazza esce dal suo corpo.
Inari la raccoglie tra le dita. E mentre lo fa, quel fumo si solidifica in un gioiello a forma di cuore che lui colleziona.
Non un cuore anatomico.
Ma un ciondolo perfetto, scintillante come un talismano.
Un cuore di vetro e luce riflettente come se fosse un diamante colorato.
L’essenza di lei.
Racchiusa in un un palmo di mano.
Lo stringe.
Lo guarda.
Se ne compiace.
Ci gioca per un po’ tra le mani come se fosse il suo unico possessore.
Poi lo inserisce nel suo diario come se fosse uno sticker da collezionare
«Questo è il diario di un bad boy» — dice Inari, e mi mostra con orgoglio il suo taccuino. Con l’aria compiaciuta di chi ha appena vinto un Grammy per la lussuria.
«Hai presente il catalogo di Don Giovanni? Quello dove il conte appunta tutte le sue conquiste?»
Inclina il capo, con l’eleganza di un diavolo ben vestito. «Ecco. Era una fanfiction su di me, scritta da Mozart, il mio bro da secoli.»
Lo guardo, esterrefatta.
Lui si stringe nelle spalle, come se avesse appena dichiarato di aver ispirato tutta la narrativa occidentale e straniera dei cosiddetti “cattivi ragazzi”.
«In realtà» — aggiunge con un mezzo sorriso da poster proibito confermando i miei dubbi — «si, cara… io ho ispirato tutti i bad boy della fiction.
Tutti.
Ogni stronzo irresistibile.
Ogni bastardo redimibile.
Ogni cattivo ragazzo che vi ha fatto piangere davanti a un libro… si ispira a me.
A ciò che sono.
Io ho dettato lo standard.»
Alzo gli occhi al cielo.
Non so se sto per vomitare o innamorarmi.
Probabilmente entrambe le cose.
Questo tizio è un megalomane.
Di sicuro.
Ma stranamente la cosa mi piace.
La sua sicurezza smodata è una calamita per me che non ho rispetto in me stessa.
«Noi demoni siamo attratti dall’arte» — dice con nonchalance, come se stesse enunciando una legge naturale.
«E io, da millenni, mi avvicino agli artisti migliori. a chi ha vero talento…
Ci parlo, ci litigo, filosofiamo di cose importanti, beviamo insieme…
E loro?
Loro prendono ispirazione da me per i loro personaggi>>
Fa un sorrisetto compiaciuto.
<<Shakespeare, Emily Brontë, Alexander Dumas, Oscar Wilde, Mozart. Tutti hanno preso ispirazione da me!»
Sollevo gli occhi al cielo.
La sua spiegazione mi sa di frottola.
Ma lui cerca di convincermi del contrario:
«Dorian Gray, il conte di Montecristo, Don Giovanni… sono tutti modellati sulla mia persona e non il contrario!» — mi spiega, con la sicurezza di un dio narcisista in Gucci nero.
«E non finisce lì: Heathcliff, Rochester, il ragazzo cattivo di ogni fanfiction mai scritta…
Li ho ispirati io.
Ogni volta che una penna ha creato un bastardo affascinante, io ero lì.
nei pensieri, nella tentazione, nelle vibes di quell’archetipo.»
Mi fissa, come se aspettasse un applauso.
O un’offerta sacrificale.
Lo guardo storto.
La sua arroganza va in qualche modo contenuta.
Ma non mi vengono parole per zittirlo.
Dato che lui riempie ogni mio silenzio.
«Io esisto da millenni, baby» — aggiunge, con la voce grave di chi sta solo dichiarando un dato storico.
Come se il tempo stesso fosse una sua creazione personale.
Solo allora abbasso lo sguardo.
E li vedo.
Tra le sue mani…
Decine.
Centinaia di sticker.
Tutti colorati, luccicanti, incollati con una cura maniacale sul suo diario delle conquiste.
Ogni cuore è una ragazza.
Un sentimento donato per lui.
E che lui contempla tutto soddisfatto come un collezionista sadico.
Solo un cuore.
È questo ciò che si riduce per lui una ragazza.
Il suo cuore.
Un oggetto collezionabile.
Un amore mai restituito.
Ed è così — mi accorgo — che i demoni ti strappano il cuore.
Con la bellezza.
Con la voce giusta.
Lo sguardo sensuale e dannato.
La promessa sussurrata nel momento preciso.
Ti fanno credere che sarai l’unica.
E tu, per provarglielo, gli apri il petto.
Consapevole di cosa ti faranno.
Lo fai perché tu accetti.
E loro…
Lo prendono.
Senza restituire.
Togliendoti il sentimento da dentro e svuotandoti perché tu lo lasci fare.
È così che i demoni rubano il cuore.
Te lo fanno offrire.
