
La strada del ritorno è sempre più breve di quella dell’andata.
Ed è per questo motivo che, senza neanche rendermene conto, mi ritrovo di nuovo nella sala di preghiera dove avevo lasciato mio padre alle sue riflessioni mattutine.
Ma Azrael lì non c’è più.
Al suo posto, trovo la cricca di Saul, il capo della nostra casata.
Ognuno di loro è circondato da una moltitudine di preadolescenti tutti vestiti uguali: i maschi indossano abiti bianchi come agnelli di Dio incontaminati dal peccato, mentre le femmine si trovano tutte velate di nero: piccole vedove che hanno ucciso la loro femminilità in nome della castità, della purezza e della fede.
Quell’immagine mi stringe il cuore.
Perché anch’io, più o meno alla loro età, ho scelto di reprimere quella parte di me.
La parte che arde.
Che desidera.
Che reclama il piacere.
…che ricerca l’amore.
Ma invano.
Non credo di esserci mai riuscita.
E questa macchia che ho addosso ne è la prova evidente.
Per quanto abbia provato a soffocarla, lei — la lussuria — ha sempre trovato il modo di tornare da me.
Come un’erbaccia difficile da estirpare, e che continua sempre a ricrescere, tra le crepe vuote del mio cuore.
Laddove trova uno spiraglio per infiltrarsi.
Gli abiti neri non hanno mai saputo soffocarla.
L’hanno solo coperta agli occhi degli estranei, ma io so che quell’erba insidiosa è ancora lì, dentro me: cresce, prospera…
Sotto tutto quel nero.
Viva e selvaggia…
Proprio come me.
Mi mordo le labbra, a disagio, per quella visione malinconica lasciata da quei bambini.
Eppure continuo a guardarli, attratta da ciò che fanno — da ciò che sono e stanno diventando — sotto le guide zelanti di quegli uomini anziani.
Per i più giovani non esistono spazi separati nei luoghi di preghiera; e, infatti, tutti si ritrovano lì ogni giorno per il loro indottrinamento mattutino.
Un’abitudine che ho sempre trovato pericolosa: i bambini non dovrebbero mai essere lasciati da soli con degli adulti senza la supervisione delle loro famiglie.
“Potrebbero crearsi delle dinamiche inappropriate…”, penso tra me.
Ma mi faccio gli affari miei, e non intervengo, proseguendo per la mia strada; dato che sono ancora in ritardo.
Sebbene io voglia intervenire — cambiare le cose — decido che in fondo sarebbe inutile: non potrei mai, da sola, correggere le abitudini di un’intera comunità soltanto con le mie buone intenzioni.
Ma un giorno lo farò.
Insieme ad Azrael e Sethar.
Che la pensano come me.
Tuttavia, al momento, ho altre cose da sbrigare — cose più urgenti — e quindi mi limito a voltarmi, distogliendo la mia attenzione da loro.
E sto quasi per andare via, quando una ragazza di quella comitiva — una dai capelli lucidi e il visetto carino di bambola — mi sorprende da dietro, afferrandomi per un lembo del vestito ancora sporco del seme di Sethar, e che copro con una mano per pudore.
Quella macchia è un giuramento infranto a Dio, e per questo non va mostrato.
Lei mi spinge in un angolo isolato del tempio, impaziente di parlarmi.
Per questo attira subito la mia attenzione.
Eppure, un dettaglio in lei mi distrae: i suoi occhi sono assenti.
Vacui…
Vagano in mondi oscuri e contaminati dai pensieri negativi.
È come se quella bambina avesse lasciato la sua anima in una stanza chiusa a chiave molto tempo fa.
Isolandosi dagli altri…
Già alla sua tenera età.
Il che è strano, e mi lascia parecchie domande addosso.
Tra cui la seguente:
Non sarà che Saul e la sua “setta” di vecchi interessati alla compagnia dei giovani ragazzi c’entrino qualcosa con la tristezza negli occhi di questa bambina?
Quella domanda mi sconvolge.
Ma non indago.
… Per ora.
«Saul ti sta cercando» dice, spiazzandomi, con la sua strana voce atona, priva di qualsiasi emozione, ma allo stesso tempo trafelata.
Carica di una curiosa esigenza di farsi ascoltare.«Deve parlarti. In privato. Adesso!» mi ordina, stuporata.
Alza la voce come se stesse per impartirmi un ordine, e non una richiesta.
La cosa mi infastidisce, perché io sono più grande e dovrebbe portarmi rispetto.
Eppure lei non lo fa.
Ignora volutamente queste norme infrangibili di buona condotta.
Non deve essere una ragazzina molto empatica…
Oppure la situazione è talmente grave da costringerla ad alzare i toni.
Chissà…
Ha un leggero strabismo di Venere che mi affascina: un tratto raro, qui.
Sul suo viso, candido e dolce, quella peculiarità la fa apparire ancora più interessante.
Ancora più bella…
Come quelle modelle delle riviste che, con i loro visi particolari, sembrano ancora più irraggiungibili.
Uniche.
Non umane.
Come divinità in terra.
La sua bellezza è una calamita per i miei occhi curiosi…
Così mi è difficile prestarle attenzione mentre parla: deve essere un gran bel problema per la gente di bell’aspetto riuscire a farsi ascoltare dagli altri quando si vuole esprimere qualcosa.
Non vorrei mai essere così…
Sarebbe doloroso per me che voglio essere un giorno compresa da qualcuno.
Ascoltata.
Eppure, una strana sensazione di inquietudine mi pervade tutta, richiamandomi al presente, non appena menziona di nuovo quel nome.
Saul…
I muscoli delle spalle e delle gambe si contraggono, impedendomi di muovermi.
E sono come paralizzata dal terrore.
Saul…
Mi ripeto.
Ancora.
E ancora.
Il decano più anziano della casata.
Il più stimato.
Il più temuto.
…Il capo.
Mi sta cercando.
E vuole parlarmi!
Che cosa mai vorrà da me?
Un prete con lo sguardo troppo vivo di passioni per un uomo della sua età.
Un sacerdote che ama circondarsi di giovani fanciulli per motivi ancora sconosciuti.
La mia famiglia non si fida di lui.
E io…
Io sento che c’è nella sua essenza qualcosa di sbagliato.
Dicono che lo faccia per istruirli.
Per condurli sulla retta via…
Ma il suo zelo…
Beh, il suo zelo è fin troppo sospetto per essere creduto.
È grazie Azrael se adesso so che se qualcuno sembra troppo perfetto per sembrare vero, è perché, evidentemente, non lo è neanche un po’.
… Perché, in fondo, non esistono al mondo persone prive di difetti.
“Chi è senza peccato scagli la prima pietra”, dicono i Vangeli.
E quel tale, Saul, è tutt’altro dall’essere ai miei occhi un uomo privo di ombre con il suo modo così fisico di approcciarsi a questi giovani ragazzi dagli occhi lucidi, e che stranamente all’improvviso diventano come quelli di questa bambina che mi sta adesso parlando.
Occhi apatici, svuotati…
Insensibili alle passioni.
Come se la luce fosse andata via da loro.
Sono tutti giovani ancora non sviluppati: sempre giudiziosi, sempre obbedienti… creature troppo ingenue per sapere cosa significhi dire no a un adulto. E abbastanza fragili da credere a ogni sua parola.
Vedere ciò che fa mi ripugna.
Perché, sì: sto pensando male di lui.
C’è qualcosa in quel carisma viscido, in quell’aura da santo devoto, apprezzato da un’intera comunità, che mi induce a pensare che il suo ascendente sui giovani — e su tutti quanti — non sia altro che una maschera che nasconde in realtà, al di sotto, un’anima putrida.
Un’anima capace di abusare di loro.
Di manipolarli, corromperli.
E infine sfruttarli…
Perché quella gentilezza…
Quel finto altruismo.
Io non me lo bevo!
È una trappola ben congegnata per sembrare una brava persona.
Una persona rispettabile.
Quando invece non lo è.
Così rimango in allerta.
Decido ancora una volta di non immischiarmi in cose che non mi riguardano, dato il mio abissale ritardo; e così ignoro le parole di questa bambina saccente per farmi spazio, ignorando la sua resistenza, per cercare di dileguarmi al più presto, prendendo una scusa a caso, come il mio abissale ritardo.
Ma lei si mostra insistente.
Per questo mi obbliga a sgridarla.
«Mi spiace, ragazzina» sussurro, liberandomi con delicatezza dalla sua presa. «Ma non importa cosa Saul voglia da me: qualsiasi cosa debba dirmi, può riferirla a mio padre o a mio fratello, intensi?»
Lei non batte ciglio.
Rimane lì, con il volto impassibile e gli svuotati di prima.
La voce che esce è come un eco lontano rimasto intrappolato per molto tempo tra le mura di una cripta.
Non deve essere una tipa molto logorroica…
Mi guarda con sospetto e mi approccia con una certa insistenza mentre dice quello spietato: «No» Con quella maniera secca, autoritaria, inflessibile. Il suo atteggiamento mi lascia a bocca aperta, senza parole.
Ma lei continua allo stesso modo, minacciosa:
«Vuole parlare con te. Solo con te. Adesso. In privato.»
C’è una strana enfasi su quell’ultima parola…
“In privato”.
Qualcosa che non mi fa sentire a mio agio.
Un’insistenza frutto di un’esigenza urgente e di un comando automatizzato; come se lei fosse stata addestrata a pronunciarla esattamente così, da lui.
In quell’esatto modo.
Come se l’avesse resa la sua messaggera fidata.
La sua creatura…
Lei che nell’ aspetto fisico è così simile a me alla sua età.
Forse Saul ha un suo tipo ideale di “novizia” da cui è attratto per i suoi scopi.
Ed è per questo che è così interessato a me: sono una delle poche qui dentro che non ha avuto, a causa dell’ atteggiamento iperprotettivo di mio padre che mi ha allontanata da certi posti.
Sì, c’entra per forza lui sul perché lei abbia quello sguardo afflitto.
Non oso immaginare che cosa le abbia fatto.
…E la cosa mi terrorizza.
Perché lui adesso ha le stesse intenzioni con me, anche se sono più grande.
Solo perché da me, a differenza delle altre qui dentro, non ha avuto nulla.
Deve essere così…
Perché c’è qualcosa che mi dice che lui approfitta di quel suo ascendente di uomo adulto e rispettato dalla comunità per esercitare una qualche forma di potere perverso sui giovani, e plasmarli come meglio crede.
Magari ha manie di dominio e di grandezza.
O forse c’è dell’altro.
Inoltre, è come se, attraverso la presenza di quei bambini, o dei ragazzi in generale, potesse intrappolare il suo tempo per sempre, e così facendo, rimanere sempre giovane grazie alla loro vicinanza.
Grazie alla loro vitalità…
Dopotutto, il passare degli anni non ha mai fatto sfiorire la sua bellezza; e quel pensiero mi spinge a una smorfia: espressione del mio abissale disappunto nei suoi confronti.
Perché, purtroppo, talvolta, l’oscurità si nasconde proprio nei posti più inaspettati: quelli dove nessuno penserebbe mai di guardare.
In quelli che sembrano i più incontaminati.
In quei luoghi come il cuore di Saul.
La bambina inizia a sospingermi con insistenza in direzione degli alloggi privati del nostro capo, e con un fischio chiama anche gli altri suoi coetanei per farsi dare una mano in quell’impresa.
Così, di punto in bianco, mi ritrovo circondata da ragazzini da tutte le parti che mi costringono ad avanzare: uno sciame di minuscole api che seguono tutte ciò che impone di fare la loro regina.
Lei deve essere una sorta di leader là dentro…
Magari è la nuova preferita di Saul.
Cerco di sfuggire alla loro presa insistente, ma quegli insolenti, sfruttando la loro forza collettiva, diventano così invincibili.
Io li strattono con un gesto brusco, per sfuggire dalla loro morsa infernale, ma ogni sforzo pare inutile. Allora uso entrambe le mie mani per farmi spazio: mi aggrappo, tiro, spingo…e in quell’atto disperato finisco per scoprirla.
La mia macchia.
Quella che, a certi occhi attenti, potrebbe far nascere dei sospetti.
Per fortuna, loro sono troppo giovani per capire certe cose…
Eppure, qualcosa in loro si accende.
La curiosità — infantile, spietata — si trasforma subito in scherno: prese in giro su di me per il mio vestito sporco.
«Ti sei gettata del latte addosso?» ride uno di loro, facendomi arrossire di colpo.
Divento dello stesso colore della copertina del mio diario.
Un altro aggiunge con innocenza spietata:
«No! Quello è come la crema che mettono nei dolci della mensa ogni mattina, guarda!»
Mi pietrifico, perché non so come replicare senza essere inappropriata.
Tutte le loro domande mi causano un terribile imbarazzo che non riesco a contenere.
Ma la ragazzina dagli occhi assenti mi fissa come se sapesse.
E in quel momento mi accorgo che lei, a differenza degli altri, ha una certa conoscenza di ciò che è il sesso.
Cosa che alla sua età non dovrebbe sapere.
Ma non mi lascio distrarre da lei; e cerco di escogitare un diversivo per distrarli, per farli scappare via sfruttando la loro ingenuità: solo così potrò liberarmi da questa situazione seccante.
Sarà facile trovare un modo perché, alla fine, loro sono ancora piccoli.
Basterà poco per ingannarli.
Basterà poco per convincerli a lasciarmi in pace.
Così, d’un tratto, mi viene una brillante idea: mi improvviso la peggiore performer mai esistita sulla faccia della terra, atteggiandomi come se fossi posseduta, per impaurirli.
Mi atteggio come se fossi indemoniata.
Perché non c’è cosa che faccia più paura a un novizio del demonio.
La risata nervosa che mi sfugge è del tutto fuori luogo, ma necessaria, per interpretare la parte.
«Che ti è preso?» chiedono in coro, un po’ titubanti, spaesati; colti alla sprovvista dal mio repentino cambiamento d’umore.
Agito le mani, e inizio a tremare come se fossi in preda a un’allucinazione.
Gli occhi mi si ribaltano.
La mia voce diventa rauca come quella di un uomo.
«Uuuuh… uuuh…» mugolo il verso tipico dei fantasmi stereotipati delle fiction. E proseguo con lo stesso tono: «Vengo proprio adesso dal giardino degli spiriti erranti… e ora… ora c’è qualcosa dentro di me: una voce che mi dice… di mangiare bambini.
Crudi.
Facendo scricchiolare le loro ossa tra i denti.»
I bambini si fermano, incerti: mi guardano con perplessità.
Come se in un primo momento non sapessero se credermi o no.
Soffoco una risata tra me e me, e proseguo senza mai uscire dalla parte.
«Sì, sono infestata da uno spirito impuro: lo sento dentro alla mia pancia. Si muove… fa “blblblblb”; mi sta dicendo che ha fame: ha fame di bambini per saziare la sua brama di carne giovane.»
Fingo un brivido, poi mi piego in due, portando il mio corpo in avanti, simulando una possessione; camminando come un cane che sta per vomitare.
Comincio a borbottare parole in una lingua inventata: qualcosa tra il latino da film horror prodotto da una casa di produzione di basso rango.
«Deminah sarcom! Opal dul sarai!»
Dico parole a caso.
Roteo ancora gli occhi, mentre mi contorco in preda ai deliri.
I bambini, suggestionabili — e facilmente manipolabili a causa della loro età — iniziano a indietreggiare, spaventati.
Qualcuno fa il segno della croce per la paura, mostrando tutta la loro devozione al Signore, l’altissimo, come se la loro ora fosse ormai giunta al termine.
Altri urlano in preda al panico: «È maledetta, ragazzi: ve l’avevo detto! Si è fatta possedere perché è impura… il male l’ha fatta sua: ha trovato terreno fertile per la possessione. Scappiamo!»
Si afferrano l’un l’altro per la tonaca e iniziano a correre da tutte le direzioni come anime dannate in fuga dall’ Apocalisse e dal Giudizio universale: ciechi e disperati, prigionieri di un fervore che sa tanto di paura.
Ma la bambina dagli occhi vacui no.
Lei non si lascia imbambolare dalla mia recita scadente.
Rimane a scrutarmi, a giudicarmi, eppure si incammina insieme agli altri, con la consapevolezza che, con la sua sola forza fisica, non sarebbe mai capace di convincermi a trascinarmi con lei.
Mi dà le spalle, sfoggiando la sua supponenza; e se ne va, arrendendosi.
Lasciandomi sola.
Così mi volto di scatto, approfittando della situazione, ignorando tutto ciò che mi circonda; e mi lancio in avanti con la disperazione di chi cerca di fermare il tempo con la sola velocità, ora che mi trovo priva di ostacoli lungo il mio cammino.
Corro e corro.
Senza grazia né logica.
In modo goffo e anche un po’ patetico.
Poi succede l’inevitabile.
Mi schianto contro qualcosa.
Solido. Immobile. Inamovibile.
Massiccio…
Per un istante penso sia una colonna.
Poi una statua.
Poi un muro.
Ma no…
Ha un cuore che batte.
Una voce che mi sfiora con il suo gemito rauco.
È un uomo…
Un uomo alto e imponente.
Non può essere che lui…
Saul.