♰ Capitolo 2: Limiti Morali ♰

seth

Non so quanto tempo sia passato dall’ultimo urlo di mio padre  che mi intima di sbrigarmi.

Ma io sono ancora qui.
Immobile.
A fissare il soffitto in legno sopra di me.

Lo stesso da dieci anni.

Le travi familiari sono sempre lì sopra la mia testa: nulla è mai cambiato da allora.
E mi rendo conto per la prima volta nella mia vita, in questo stesso istante che le osservo, di essere anch’io così come loro.

Immutata.

Perché nulla è cambiato nella mia vita da quando mi sono trasferita qui con loro.

Eppure, oggi sento che qualcosa cambierà.
Me lo fin dentro la carne.
Fin dentro le ossa.

Perché quel fatidico giorno è finalmente arrivato.

Anche se fa paura…

Il mio primo giorno di college!

Scosto le coperte e mi alzo.
Il pavimento è gelido sotto i piedi nudi.

Mi fisso allo specchio e noto una cicatrice sulla spalla sinistra.

Ieri non c’era.
O forse sì?

Dannate amnesie…
Dannati vuoti di memoria.

Se non ci fosse la mia famiglia a ricordarmi chi sono, a quest’ora non saprei nemmeno qual è il mio nome.

A volte vorrei solo essere una ragazza normale come tutte le altre della mia età.

Una che non ha questa confusione addosso.

Essere una ragazza che capisce cosa le succede nella vita.

Una che non dimentica.

Invece io mi sento solo in difetto.
Mi sento malata.
Rotta.
A pezzi.
Fragile
Inadeguata

Diversa…

A causa di queste mie ricorrenti amnesie.

Colpa dell’energia che uso quando mi esercito troppo con gli esorcismi per dimostrare qualcosa agli altri.

Ovvero, quando cerco di essere meritevole dell’ amore e della stima della mia casata, tramite i miei sforzi.

Soprattutto vorrei tanto avere la stima di mio padre.

Cosa che, in fondo, sento di non avere.

Il punto è che tra i miei coetanei esorcisti questa cosa capiti solo a me.

Forse perché solo io, all’interno di questa grande famiglia, sono l’elemento che stona: l’orfana che è stata accolta, e non quella che è nata lì, come loro.

Sono quella che i poteri li ha appresi con la pratica.
E non quella che li ha ereditati.

Forse accade per questo.

Forse accade perché…

Io sono quella dagli occhi neri e non bianchi come gli altri.

Trattengo le lacrime.
Non le faccio uscire.

Ma per fortuna, noto un movimento strano provenire dalla mia porta che mi distrae da quel pensiero angosciante.

La porta emette un cigolio, e mi accorgo di non essere più sola.

«È ora, Nym. Devi sbrigarti. Basta procrastinare! Padre ti aspetta di sotto.»

È Sethar.
Mio fratello.
… O per meglio fratellastro.

Il mio tormento.

Sempre impeccabile con la sua veste bianca da sacerdote di livello avanzato.

Immacolata, come, del resto, è lui moralmente.

Lunghi capelli di un bianco brillante gli scendono sul collo elegante, mentre tutti gli altri sono raccolti in un nodo stretto che ti viene quasi voglia di sciogliere con le dita.

E quegli occhi…
Maledizione!

Occhi bianchi, lattiginosi, trasparenti…
Come l’acqua che si congela d’inverno imprigionando ogni cosa sotto di sé.

Ogni cosa che c’è di vivo.
Come i suoi sentimenti.

Vorrei tanto averli…
Quegli occhi.

Invece mi sono beccata delle insignificanti iridi nere.
Comunissime e banali…
Come sono io.

Niente di speciale.

I nostri occhi ci rappresentano.

Lui luce, io ombra.
Lui morale, io peccato.

Lo fisso più a lungo di quanto sarebbe consentito fare tra quelli della stessa casata.
E, in generale, tra i sacerdoti.

Rimane immobile sulla soglia, con rispetto.
Forse aspetta il permesso per entrare.

Un permesso che gli concedo con un lieve segno del capo.

Avanza, e il mio cuore si ferma.

Il mio perfetto fratellastro…
Algido.
Inaccessibile.
E…
Maledettamente sexy!

Con quell’aria da “saccente perfettino”.

L’ho amato fin dal primo momento in cui ho messo piede in questo posto: dal giorno in cui ho varcato le porte di questo tempio che adesso ho la fortuna di chiamare casa.

Lo so perché è così che ho scritto nel mio diario segreto che ho dimenticato in cucina, e che lui adesso gentilmente mi sta portando.

Com’è gentile il mio Sethar!

So che quello che ci sta scritto lì dentro è vero perché ad ogni mio risveglio — dopo una delle mie ricorrenti amnesie — lo bramo con la stessa intensità riportata fra quelle pagine.

Perché, ahimè, quello che provo per lui è un desiderio che brucia dentro, e che sento ovunque, in ogni istante.

Un desiderio impossibile da spegnere.

La Bibbia parla proprio di questo sentimento indecifrabile che provo :

“l’amore è una fiamma divina che le grandi acquee non posso spegnere”

Lo dice il Cantico dei Cantici.

E io per lui sento esattamente questo: un fuoco di cui, so bene, che non potrò mai liberarmi.

Sethar adagia il diario sulla mensola, e io non posso fare a meno di ammirarlo da lontano, come faccio sempre.

Non importa quante volte mi dimenticherò di lui, perché continuerò sempre a volerlo ad ogni mio risveglio.
Con la stessa intensità.
Anche se tra noi non potrà mai esserci nulla.

Non solo perché siamo fratelli, ma soprattutto perché i sacerdoti esorcisti perdono i loro poteri nel momento stesso in cui si abbandonano al piacere.
Quando perdono la verginità.
E io… per lui, potrei anche rinunciare a tutto.
A ciò che ho di più caro: la mia purezza e i miei poteri.
Ma lui per me… non lo farebbe mai.

Lo so bene.

Così ho imparato a seppellire quel fuoco. A lasciare che mi consumi da dentro, in silenzio. Mentre dentro di me mi faccio divorare.

Ho messo una pietra sopra a questo amore praticamente impossibile, anche se stargli vicino, nella stessa casa, senza mai poterlo toccare, mi fa sempre male.

Lui mi guarda con il suo solito sguardo enigmatico, senza dire una parola, e io mi rendo conto che sta per arrivare la solita ramanzina.

Una di quelle che mi fa tremare le gambe.

Ecco ci siamo…
È la quiete prima della sua tempesta verbale.

«Oggi inizia il tuo primo giorno al college dell’occulto, Nym. Come ti senti?»
dice quasi sottovoce, senza scomporsi di una virgola.
E io, stupida, mi ritrovo a chiedermi — come ogni maledetta volta — se dietro a quello sguardo annoiato che mi rivolge ogni volta non ci sia in realtà qualcos’altro.

Un pensiero proibito per me.

Un desiderio peccaminoso che non osa confessare neanche a se stesso.

Ma è proprio in quel momento che luce del mattino, che fino a quel momento non si era ancora palesata, filtra dalla mia finestra tagliando in due la stanza, come se persino il sole volesse separarci adesso.
Come se in quel momento si palesasse Dio stesso in persona, sotto forma di luce, con i suoi ammonimenti.
Pronto a ricordarmi che certi limiti morali non vanno mai oltrepassati o infranti.

Limiti morali come l’incesto.

Allora decido di reagire a Sethar con rabbia.
Proprio perché non lo potrò mai avere…

Me la prendo con lui per ciò che mi fa provare, e per il fatto che non mi potrà mai ricambiare.

Per questo lo maltratto sempre.
Ed è per questo che in questo momento lo insulto.
Sfruttando argomentazioni a caso soltanto per litigare e interagire con lui.

«Perché tu e Azrael mi costringete a questo?»
La mia voce è roca, ancora impastata dal sonno, ma carica di tutte le emozioni che ho represso nella notte, e che si mischiano a quelle che ho provato per lui in tutti questi anni.
«Perché non posso frequentare una scuola normale? Una scuola statale. Una da umani e non da casi umani soprannaturali

Sethar continua a fissarmi.
Le mani giunte dietro la schiena, lo sguardo freddo, impassibile, impenetrabile.

Ma io lo conosco troppo bene.
Lo vedo da come stringe la mascella.
Vorrebbe andarsene, lasciarmi affogare da sola nell’inutile scenata patetica che ho appena creato solo per attirare la sua attenzione.
Perché non tollera certe manifestazioni emotive esternate così liberamente.

Non si addice a noi sacerdoti.

E invece stavolta resta.

Resta perché sa che ho bisogno di lui.
E io, perfida, ne approfitto per gettargli altro veleno immeritato addosso.

Mi risparmia perché è il mio primo giorno di scuola e sa che sono spaventata a morte, quindi è meno duro con me.

La cosa mi fa arrossire.
Perché dimostra quanto è premuroso con me.

Ma io non demordo e proseguo inarrestabile, sfogando tutte le mie frustrazioni.
Tutta la rabbia repressa che ho in corpo.

Gli urlo come se fossi impazzita.
Cosa a cui lui è purtroppo abituato.
«Voi sapete benissimo che odio tutte quelle maledette creature; quegli obbrobri!
…I demoni!
Eppure mi state spingendo a stare con loro per un intero anno; non lo accetto!»

Abbasso lo sguardo, perché sento gli occhi pizzicare. Sento le lacrime premere come coltelli dietro le palpebre.

«Le odio, le odio, le odio! Dannati demoni! Non accetterò mai di stare in mezzo a voi!»

Mi getto tra le coperte sgualcite affossando la mia testa sul cuscino.
Quel cuscino che maltratto sempre quando sono in collera con me stessa, e che inizio a sbattere con violenza perché in questo momento ho solo bisogno di picchiare qualcosa.

Qualsiasi cosa.

Tranne Sethar.
Su Sethar non potrei mai.

Perché se alzassi davvero le mani contro di lui — contro la sua aria da martire perfetto e da santo irraggiungibile — lo farei per altri motivi…

Motivi peccaminosi, di certo.

Ma mi punisco immediatamente per quel pensiero inappropriato.

Dopotutto è mio fratello.

Così lo fisso di nuovo con molta più rabbia e frustrazione di prima. Con il mio consueto sguardo che lui chiama per prendermi in giro “lo sguardo assatanato”.

Quello che faccio di solito quando mi arrabbio con lui senza alcun motivo razionale.
Solo per attirare la sua attenzione.
E lui, in fondo, di questo ne è consapevole.

Così mi asseconda; e io proseguo con la mia lagna.

«Hanno ucciso i miei genitori, Sethar, e voi questo lo sapete benissimo! Eppure mi state mandando in mezzo a loro: siete per caso diventati dei sadici bastardi all’improvviso?» esplodo, incontenibile nella mia furia esplosiva.

Lui si morde le labbra sensuali e rosee.
Quelle labbra carnose che mi hanno sempre fatto impazzire.

Eppure qualcosa mi dice che è deluso dal mio atteggiamento.
Quei modi di fare che lui reputerà di sicuro fin troppo irruenti e infantili.

Non a caso, si morde le labbra.
Forse per provarmi.
E non si contiene nella sua ennesima critica sottile e spietata nei miei confronti.

«Modera il linguaggio, Nym» risponde secco, autoritario, in un modo che mi scuote tutta. «Le parolacce sono inappropriate per una sacerdotessa esorcista come te!»

Sbuffo.
Un suono carico di disprezzo e…
Desiderio per lui.

Perché quella sua voce pacata…
quel modo in cui mi guarda dall’alto in basso, giudicante — con quegli occhi glaciali e inaccessibili ai suoi veri desideri — mi fa venire voglia di fare esattamente l’opposto di ciò che dice.

Sogno di farlo arrabbiare.
E poi di farlo cedere.

Di vedere se la maschera del devoto perfettino sempre perfetto e calmo può crollare all’improvviso.
Per me.

… E poi, vorrei corromperlo.
Fino a sentire quella voce da santo che mi impartisce ordini morali gemere il mio nome.

Soltanto il mio nome.

Invece…

lui adesso abbassa solo lo sguardo.

Forse intuisce i miei pensieri proibiti e non vuole scendere al livello dei peccatori.

Ovvero al mio stesso livello.

Si appoggia alla porta con la spalla, come se il peso delle mie parole e dei miei sguardi gli fosse crollato addosso, schiacciandolo.

Scosta i suoi folti capelli argentei dal viso, come per ricomporsi da quel momento intenso tra noi appena avuto.
E con una lentezza esasperante, un gesto che lo rende ancora più bello, rivela quegli occhi di ghiaccio che so leggere fin troppo bene.
Occhi che mi hanno sempre guardata come si guarda qualcosa di insignificante.

Una sorella.
Non una donna.
E di certo…

Non una tentazione.

«Tu non sei un’umana qualunque, Nym.»
La sua voce è bassa, ma la sento ovunque.

Nel petto.
Sotto pelle.
Tra le gambe.

«Sei una sacerdotessa del Sangue Vivo: hai il potere di domare le creature sovrannaturali: i demoni. Come tutti noi.» Sospira. Come per ricordarmi ciò che sono, come  dopo ogni mia ricorrente amnesia.
«Nostro padre ti ha insegnato tutto quello che poteva. Sei brava. Ma adesso ti serve qualcosa di più: una scuola. Una struttura. Una disciplina.»

La sua voce si fa più dura.
E so che stanno arrivando i rimproveri, lo so.

Peccato che io trovi sexy i suoi rimproveri e non minacciosi…

Infatti, lui si carica tutto per un’altra ramanzina mentre io stringo le mie gambe sotto le lenzuola. In attesa del suo “frustino vocale” da dominatore di BDSM.

Lui apre la bocca e io mi gaso tutta.
Scalpito di eccitazione.
Perché ogni suo richiamo è come una sculacciata metaforica.
Non dovrei, ma la cosa mi eccita un po’.

«Ne abbiamo già parlato mille volte, Nym… vuoi davvero che ti elenchi di nuovo tutti i motivi per cui ti stiamo mandando lì?»
Si passa una mano sulla tempia; e per la prima volta io lo vedo davvero frustrato per il mio comportamento un po’ troppo frivolo.
Ma lo ammetto…
adoro vederlo così: con le crepe nel suo ghiaccio.

«Hai, per caso, perso di nuovo la memoria che non ricordi, sorella?»

La sua voce è tagliente.
Ironica.
Ma non divertita.

Un modo elegante per dirmi che sto facendo di nuovo i capricci.
Come una bambina.
E che non dovrei.

La cosa mi offende.
Io non sono più una bambina…
Non più.

Vorrei che lo capisse.
Che mi vedesse donna.
E per questo digrigno i denti.

Il sangue mi pulsa fin dentro il cervello.

Adesso la cosa non è più eccitante.
Anzi…
Il suo tono mi irrita.

«Non ho perso la memoria, fratello.» gli faccio il verso.
Scandendo ogni parola come se fosse una minaccia.
Del tipo “guai a te per ciò che dirai da questo momento in poi”.

Sottinteso: altrimenti potresti finire male.

Così mi alzo dal letto, spavalda, per provocarlo.
Per vendicarmi un po’ con lui.

Il lenzuolo scivola giù dalle mie spalle, lasciando scoperta la sottoveste leggera.

Non mi copro.
Voglio che veda.

Che mi veda donna, e non bambina.

Voglio sapere se riesce a restare impassibile anche adesso con il mio corpo davanti.

… E poi, voglio punirlo per i suoi rimproveri detto a cuor leggero.

Vediamo fino a che punto “il martire santo” riesce a resistere davanti a un corpo semi nudo che si schiude davanti a lui.

Voglio sedurlo nella sua parte vulnerabile di uomo.
Perché avrà sicuramente dei desideri anche lui.

Mi sembra una bella rivincita, dopotutto.
Una punizione per tutta la sua pesantezza nei modi che ogni volta mi rivolge.

Poi gli rispondo a tono.
Muovendomi in maniera sinuosa ma impercettibile — fintamente distratta ma sensuale — in modo che lui pensi che sia una sua colpa quello che invece gli sto facendo volutamente.
E adesso prendo in mano io “il suo frustino verbale”, bacchettandolo un po’ io.

«So benissimo perché mi state mandando lì.»
Lo fisso negli occhi, pronta a ferire.
«Perché stanno succedendo cose strane al College dell’Occulto.»
Taglio corto.
«Perché nostro padre è malato e non può investigare di persona.»
Affondo.
«Dato che sta per morire»

Lo dico come se non mi importasse niente di lui.
Lo dico come se fossi insensibile alla cosa.

… Sì.
Lui sta morendo.
E lo dico così: senza filtri.

Perché forse urlarlo come se la cosa non mi importasse è l’unico modo che ho per non crollare a piangere per la disperazione e sentirmi sopraffatta dalla cosa.

Sto perdendo la mia famiglia un’altra volta.
E non posso farci niente.

Non può esserci un dolore più grande.

Così mi richiudo nella mia apparente insensibilità e proseguo nella mia rabbia per distrarmi da quel pensiero inaccettabile.

Gli urlo addosso per soffocare il dolore che ho dentro.
«Mandate me a fare il lavoro sporco perché una femmina desterebbe meno sospetti lì dentro. Che gentiluomini. Bravi bravi!»

Lo derido con una risata esagerata, come quella dei cattivi dei cartoni animati che da piccola mi facevano paura, e in cui adesso mi sono trasformata, a quanto pare.

Ed è in quel momento che lo vedo…

L’ho beccato.

Sethar…

Per un istante infinitesimale mentre parlo — uno sguardo, un respiro trattenuto — mi fa intuire che mi sta finalmente guardando per come ho sempre voluto essere vista.

Non da fratello.
Non da mentore.
Ma da…

Uomo.

Uomo che desidera una donna.

Perché scivola il suo sguardo verso le mie cosce nude.

… Panico totale!

Sarà stata solo una mia impressione o il mio sogno si è finalmente realizzato?