
Dopo quella conversazione sussurrata con Azrael nei pressi della sala di preghiera, andai spedita per la mia strada.
Ma qualcosa continuava a risuonarmi dentro come un eco continuo incastrato tra le strette stanze della mente.
Sì, c’era qualcosa che ancora non mi tornava: se quei fantasmi erranti senza origine erano stati così importanti per me in passato, perché non li avevo mai menzionati nel mio diario?
Dopotutto là appuntavo di tutto.
Compresi i sogni erotici censurabili e discutibili su Sethar, lista delle persone che odiavo nel tempio (per il loro bullismo velato), le classifiche delle gonne più discutibili delle sacerdotesse, e persino il numero esatto di imperfezioni del viso che mi era apparso durante la settimana.
Ah, il mio diario…
L’unico oggetto che custodiva i brandelli sparsi della mia memoria frammentata.
Eppure, nessuna traccia c’era di loro lì dentro.
Perché non avevo parlato di loro?
La mia mente era come una pentola a pressione pronta ad esplodere in qualsiasi momento.
Quella nuova domanda si era mescolata nella mia testa insieme agli altri quesiti che mi ero posta fin dalle prime luci del mattino quel giorno.
Domande riguardo alle altre preoccupazioni legate all’ansia e la mia paura per il mio primo giorno di college.
Quel nuovo pensiero era come il fumo d’incenso delle preghiere dei monaci all’alba in un mattino di inverno qualsiasi, quando quel fumo si va a fondere con la nebbia, diventando un tutt’uno grigio: qualcosa di piccolo che si va a fondere in un’aria densa più grande di lei.
Questa era la mia testa in quel momento: un agglomerato grigio e nebbioso fatto di domande sottili a cui si univa sempre altro fumo, diventando qualcosa di gigantesco.
Quindi affondai la mano nella mia tracolla consumata, estraendo da lì il diario, desiderosa di sapere di più su quel fatto legato ai fantasmi.
La copertina era rosso vivo.
Rosso come la lussuria che noi sacerdoti celiamo in noi stessi.
Il mio colore preferito.
Il colore della mia casata.
Con il tipico stemma di famiglia con il serpente. Ma stavolta con una variazione kawaii: il mio è attorcigliato su se stesso fino a formare un grazioso cuore verde.
Mentre con l’occhio destro, di tanto in tanto, mi ammicca in un occhiolino complice.
La mia famiglia…
Ciò che di più caro ho al mondo.
Doveva per forza essere di quel colore la mia casata.
Rosso…
come la passione.
Una passione bruciante che da sempre mi tormentava e mi accompagnava.
Aprii quell’oggetto salvifico con la stessa attenzione con cui si maneggia una reliquia sacra.
Perché c’è sempre qualcosa di imprevedibile nella ricerca delle verità che fino a quel momento si ignorano: a volte, infatti, si può rimanere sconcertati da ciò che si apprende quando si sbatte contro ciò che non si sa ancora, e io, appunto, avevo paura di sapere.
Ma, allo stesso tempo, non potevo ignorare il richiamo della mia curiosità.
Un po’ come quando mi dico adesso leggerò “solo una pagina” e finisco invece per leggere 50 capitoli di fila di romance per vedere se alla fine gli enemies diventano davvero lovers.
Mi sentivo così: io volevo capire cosa stava succedendo nella mia vita.
Le pagine ingiallite erano illuminate dalla flebile luce dei primi raggi solari che si mostravano a me come quella soluzione alle mie domande.
Misteriosi interrogativi mi albergavano dentro, ma sapevo che presto sarebbero stati risolti, e questo mi tranquillizzava.
Sì, mi calmava per circa cinque secondi.
Poi la mia ansia aveva alzato di nuovo la voce, aveva ordinato un caffè doppio e ha continuando a vociferare a raffica con maggiore vigore di prima.
Le dita sfogliavano irrequiete in cerca di una soluzione, ma…
niente.
Nessun accenno a quei fantasmi “Senzaterra“.
Quegli spettri che un tempo avevo addirittura considerato miei amici, a detta di Azrael, e che adesso erano stati completamente depennati dall’oblio della mia mente.
E la cosa era strana.
Avevo sfogliato così tanto quel diario fino a indispettirlo e offenderlo.
Come se anche lui fosse stanco della mia ansia esistenziale e della mia eccessiva introspezione.
Una pagina si era addirittura accartocciata su se stessa, strappandosi da sola per la disperazione.
Suicidandosi.
Come per dire:
“Hai rotto un po’ il cazzo, Nym con tutti questi tuoi flussi di coscienza costanti”
Sospetto mi abbia giudicata un po’ troppo, senza neanche conoscermi.
Per evitare di far fare seppuku/ harakiri a tutto il mio diario, decisi di tornare da Azrael per porgli le domande che mi frullavano per la testa in cerca delle risposte che cercavo.
Cosi avevo tentennato ancora: avevo indietreggiato, come spesso indietreggio nella mia vita per paura di andare avanti.
Ero tornata ancora una volta da lui, a prova della mia totale dipendenza nei suoi confronti.
Avevo chiesto ulteriori delucidazioni a riguardo: sul perché nel mio diario non esistesse nessuna menzione in merito ai fantasmi.
Ma lui sembrava restio a fornirmi ciò che cercavo…
Delle risposte.
Temeva qualcosa che ancora ignoravo.
Ma che bramavo assolutamente scoprire.
Sembrava pensieroso.
Più del solito.
In un modo che reputerei “strano”.
La sua risposta al mio quesito non fu immediata: ci pensò a lungo e intensamente, e ciò mi insospettì.
Lo vidi trattenere il respiro, come se le sue stesse labbra potessero evocare qualcosa di sconveniente e…
Oscuro.
Qualcosa in grado di farmi del male.
Qualcosa che sapeva bene che mi avrebbe scosso nel profondo.
E si sa, io sono fragile.
A me basta uno spoiler su un drama coreano per crollare. Figuriamoci una rivelazione mistica che coinvolge fantasmi, amnesie e cancellazioni strane dal mio diario.
Poi, con una voce che sembrava provenire da un regno che stava altrove a sé, come se fosse in trance, come se non volesse parlare ma dovesse farlo comunque, parlò.
Dicendomi ciò che volevo sentirmi dire…
La verità.
«Sono stato io a strappare le pagine del tuo diario, Nym.»
Una pausa.
Non osava guardarmi negli occhi.
«Le ho rimosse io. Odiami se vuoi.»
Deglutii.
La bocca era asciutta per lo stupore e per quanto avevo appreso.
«Perché?» chiesi, in un misto di collera e sgomento.
Mentre pensavo: “ma non potevi almeno usare il bianchetto, invece di imbatterti nel mio diario come se fossi la personificazione dell’Apocalisse che distrugge ogni cosa?
Lui continuò.
«Perché qualcosa è andato storto l’ultima volta che li hai incontrati, Nym.» disse in un’espressione che pareva imbarazzo per quanto aveva osato fare. «C’è stato un litigio tra voi, e uno di loro ha cercato di traviarti per motivi che ancora non comprendo: hanno cercato di gettarti nel fiume nero che risiede nel loro mondo. Forse per tenerti lì con loro per sempre: forse perché ti amano troppo. Per averti sempre lì con te…»
Ecco, vedi?
Sempre la stessa scusa.
“Ti amo troppo” e poi ti tirano dentro a un fiume maledetto.
Un grande Classico.
Fece una pausa, come se le parole lo consumassero dall’interno impedendogli di proseguire.
«Bè, figlia, devo dirtelo: quando ti abbiamo recuperata, la tua mente si era come spezzata e hai perso di nuovo la memoria: vagavi come un’anima in pena, persa tra i santuari senza meta né scopo, in preda ai deliri. Piangendo e urlando. Invocavi nomi e fatti mai sentiti prima. Ci hai spaventati tutti, Nym. E così ho dovuto scegliere: proteggerti, strappando via tutto… o rischiare che tu impazzissi di nuovo se mai avessi riletto quelle pagine, se ti fossi ricordata di quella notte: quella notte in cui la luna si nascose… sì, si nascose tra le nuvole del cielo. Lo ricordo. L’oscurità non si limitò a coprire il manto celeste, ma entrò persino dentro di te.»
Insomma…
Ho fatto una classica scenata da drama queen.
In quel momento, il bracciale di giada sul mio polso si illuminò, come se ascoltasse anche lui la conversazione tra me e mio padre, e volesse in qualche partecipare.
Dire la sua.
Ma poi si interruppe.
Evidentemente non era il suo momento per parlare.
E a quanto pare, anche i bracciali hanno il senso dell’etichetta.
Buono a sapersi.
Si accorgeva lui stesso di essere fuori luogo, dato che la cosa non gli riguardava.
Mio padre mi sfiorò la guancia con le nocche, in segno di affetto, come per sussurrarmi un “perdono” non detto tramite l’uso delle parole.
Quel gesto intimo mi mise in imbarazzo, ma mi piacque.
Perché era raro in lui.
«Ma non avete paura, Nym» proseguì. «Loro non sono anime cattive: loro sono… tuoi amici. O per meglio dire lo sono stati.
Sai, le creature non vive dentro possono essere instabili delle volte: oscillano nel caos di ciò che sono diventate: anime senza scopo, anime senza una guida, né passioni né ambizioni.
È questa la natura della loro cattiveria.
La mancanza di scopi.
A volte invidiose di noi che noi ancora sentiamo.
Ma non hanno cattive intenzioni, fidati: devi solo stare attenta a loro.
Ti vogliono bene… e tu gliene vuoi.
Ma attenzione a non lasciarti traviare di nuovo, e che la loro presenza ti serva da allenamento contro i demoni».
Disse così. E io mi sentivo come se dovessi partecipare all’improvviso a un episodio di Squid Game: un gioco mortale che avrebbe potuto costarmi la vita da un momento all’altro.
Poi fece una pausa.
Un’altra meditazione.
«Quindi adesso vai pure a salutarli; loro ti aspettano.»
Disse con le mani giunte in tensione.
Non feci altre domande.
Mi bastavano le risposte che avevo ricevuto.
Perché il mondo intorno a me sembrava improvvisamente correre più veloce e io non potevo permettermi di restare indietro.
Insomma, ero maledettamente in ritardo.
E dovevo darmi una mossa.
♰ ✧ ♰ ✧ ♰ ✧ ♰ ✧
Adesso procedo verso il sentiero che porta al giardino dei fantasmi erranti senza nome, come suggerito da Azrael.
Anche se ciò che mi ha detto mio padre, poc’anzi, continua a risuonarmi dentro.
Incessantemente.
Come quella canzone negli spot pubblicitari che non riesci più a toglierti dalla testa.
Ma al posto del jingle ti ripeti in loop: “vedi che potrebbero cercare di ucciderti. Scema. Di nuovo.”
Non ci cascare.
Perché, sì, ho paura.
Paura, e non lo nego.
Paura che quelle presenze, un tempo mie alleate, possano ghermirmi l’animo, ancora.
Quando meno me lo aspetto, facendomi degli scherzi.
Degli scherzi possibilmente mortali.
Come hanno fatto in passato.
Ma avanzo, impavida, perché tra amici occorre chiarirsi quando si litiga.
Così proseguo.
E lungo la via, noto un cartello singolare di avvertimento, inchiodato su un palo antico ricoperto di muschio.
Il cartello recita:
“Questo è un luogo riservato alle anime trapassate”.
È un monito.
Indica la presenza di un kekkai: il confine invisibile all’occhio umano che divide ciò che è tangibile dall’intangibile.
In sintesi, ciò che è vivo da ciò che è morto.
Il nostro mondo e il loro.
Ciò che è e ciò che non è più.
Insomma, oltrepassando il kekkai, raggiungerò finalmente il regno dei fantasmi che vivono nel mio giardino, e non sto più nella pelle.
Incontrerò vecchi amici.
Forse qualcuno che mi farà dire:
“questo è il mio posto nel mondo”
ஓ๑♡๑ஓ
Adesso mi trovo qui, in bilico tra questi due mondi: il mondo che conosco e quello che ancora non ho conosciuto.
Sono pronta a varcare quel confine, anche se non so cosa aspettarmi.
Respiro.
Raccolgo i miei pensieri.
Mi faccio forza e mi addentro mettendo il primo piede dentro a quel regno ora abitato da creature non appartenenti più a questo mondo, ma naufraghe negli abissi di un tempo che per loro è immutabile e sempre uguale.
Faccio ancora qualche passo, e non so di preciso che cosa accade.
Ma qualcosa deve essere accaduto.
Perché sento qualcosa cambiare dentro me.
Improvvisamente non c’è più vento.
Come se il mondo avesse smesso di respirare: adesso c’è solo una una sorta di respiro eternamente trattenuto dalla terra in cui mi trovo.
Reale e sovrannaturale si fondono, amalgamandosi, fino a diventare sola trasparenza, contornata da ombre bluastre e brillanti.
Questo è il regno dei fantasmi nel mio giardino: un luogo fluttuante contornato da tipiche ombre di colore blu.
Non c’è stata una porta da varcare a segnare il passaggio tra i due mondi, ma la differenza la percepisco bene.
So di essere già all’interno di qualcosa di mutato per il repentino cambiamento della luce, fattasi d’improvviso ombra, per la densità che si percepisce nell’aria — più spessa e rarefatta —per il ritmo del tempo che sembra essersi annullato all’istante, e per la strana assenza di suono: i miei passi non producono rumori quando cammino.
Silenzio totale.
Nemmeno un ‘tap’.
(Zero. Nada. Nisba. Nemmeno il suono delle mie ansie emotive che urlano “e se mi sbaglio tutto?”)
Mi sento tipo un ninja in missione.
In questo posto, per fortuna, non sentirò il mio stomaco brontolare, dato che ho saltato la colazione per evitare un altro rimprovero di Sethar.
Mi sento tipo un ninja in missione.
In questo posto, per fortuna, non sentirò il mio stomaco brontolare.
Tutto è diverso qui dentro.
E la cosa mi eccita.
Ottimo.
Magari qui, dato che qui tutto al contrario, i ragazzi carini ti parlano per primi e ti fanno le avances anche se sei bruttina.
Che sogno che sarebbe!
Ma non ci spero così tanto.
Immagino che sarei una sfigata anche in mezzo ai morti.
Mi addentro.
E quando pensavo di essermi ormai smarrita, ecco che allora appare, a pochi passi da quel punto d’inizio, da quel varco invisibile che avevo oltrepassato, il Giardino in tutta la sua maestosa, inquietante bellezza.
Cioè: wow. Da fuori sembrava una zona infestata. Da dentro… sembra una zona infestata ma chic.
Di classe.
Un giardino tagliato in due da un fiume nero, quel famoso fiume in cui ero stata gettata dai fantasmi, miei amici, e il cui aspetto è simile a una palude che ingloba ogni cosa che ha la sfortuna di finire là dentro.
Fiori di loto neri che crescono sul suolo in prossimità del fiume finiscono là dentro, per sbaglio, come attratti dalla sua oscurità: galleggiano in un primo momento in quella melma scura, per poi marcire.
Deperiscono con avvenente grazia.
È questo il famoso fiume d’ acqua nera che scorre al contrario.
È chiamato così perché l’acqua non segue il suo naturale corso.
Come i miei pensieri quando provo a prendere decisioni importanti.
O come i capelli quando provo a farmi la frangia col vento contro.
Che cosa bizzarra…
Mi viene da dire osservandolo.
Più bizzarro del fatto che ho ancora affetto per i fantasmi che mi hanno spinto lì dentro.
Ma ehi, che ci volete fare…
Trauma bonding!
Mi torna in mente un ricordo, una storia che mi raccontava Azrael da bambina, e improvvisamente capisco la sua funzione.
Anche se recentemente ho avuto una delle mie dimenticanze.
Una delle mie amnesie.
In quel fiume è possibile vedere gli avvenimenti alternativi della propria vita, ed è ciò che intrattiene maggiormente i fantasmi nel regno dei morti: il loro passatempo preferito.
Un po’ come il nostro Netflix, immagino.
L’avevo letto da qualche parte, mi sembra d’un tratto di ricordare, e ora che lo guardo l’ho riconosciuto.
Mi è tornato alla mente anche se lo avevo dimenticato.
Non pensavo che qualcosa del genere si potesse trovare nel proprio giardino di casa.
Indugio nel fissarlo a lungo per non rimanere intrappolata in quelle visioni ammalianti di me stessa, dato che il fiume ti mostra le tue passioni più sfrenate.
Già immagino una mia versione alternativa col seno prosperoso e Sethar in ginocchio intento a farmi cose indicibili tra le cosce.
Quindi no: decido di non guardare oltre.
Di darmi un contegno.
Non sono pronta per tutto questo.
Rischio davvero di fare binge-watching di me stessa, e non mi pare il caso.
Già mi immagino mentre scuoto i seni prosperosi o agitando fianchi morbidi che non ho facendo impazzire tutti i maschi.
Quello sì che, già…
sarebbe un bel sogno.
Oppure tipo me, ma in modalità Idol coreana in tour mondiale con il crop top micro e le luci stroboscopiche dietro.
Occhi da cerbiatta, voce da sirena, vibe da “ti spezzo il cuore con uno sguardo”.
Altro che Nym versione “sacerdotessa repressa con ansia da contatto visivo”.
Quello sì che, già…
sarebbe un bel sogno.
Essere migliore di ciò che in realtà sono.
Ma forse è meglio rimanere con i piedi per terra.
Perché è questo il rischio che si corre quando si rimane intrappolati nelle proprie fantasie: non sapere più come uscirne.
E chissà se vale la pena morire ciò che si è davvero, pur di incorrere “altro”, ciò che è socialmente considerato migliore.
Un ideale imposto da qualcun altro.
Questo dubbio mi condizionerà a vita, ma ancora non ho deciso.
Quindi distolgo lo sguardo per non correre rischi.
So ancora poco su questo posto, e sono già decisamente molto in ritardo per le lezioni per esplorarlo a fondo, quindi non mi dilungo ulteriormente, perché qualcosa mi dice che ritornerò presto quando avrò un po’ più di tempo da sprecare per certe cose.
Mi volto.
Sto per andare via.
Ma qualcosa mi distrae.
Il fango inizia a ribollire e dal fiume inizia a fluire al mio naso un odore curioso, come di sangue antico mischiato all’odore della vegetazione in decomposizione che lentamente muore di continuo.
Una fragranza esclusiva, direi.
La chiamerei “Eau de Trauma by “Il Giardino Dei Fantasmi di Casa Mia”.
Eppure è un odore che non mi infastidisce.
Cosa che mi farebbe di certo senso se mi trovassi nel mondo al di fuori tra i vivi.
Ma qui è tutto diverso.
Qui, questo odore è addirittura piacevole: profuma come qualcosa di buono.
E a tratti poetico.
Mi piace questo odore.
Credo di esserne assuefatta.
Il piacere che si prova è simile alla sensazione di sfiorare con la lingua una mela succosa cosparsa del caramello più dolce; come quando si va alle fiere.
È lo stesso livello di appagamento.
Stessa beatitudine.
A questo, si mischia un altro elemento, uno più dolce e speziato: un misto di tè fermentato e certi pasti caldi, regali che i vivi fanno ai morti, come omaggio, e che lasciano lungo il fiume per riaccendere in loro certi ricordi sepolti nell’oblio; ricordi della loro vita passata.
Ricordi che ormai albergano nella dimenticanza.
È il tentativo dei vivi, con i loro doni, di farsi ricordare dai loro cari defunti.
Da chi non c’è più.
E se il mono no aware avesse un odore tipico, sarebbe l’insieme di tutti questi profumi che ho provato oggi.
L’aware:la struggente consapevolezza che ogni cosa bella, come la vita, è destinata a svanire.
È questo il suo odore.
È questo il suo sapore.
Il sapore di una mela e il suo caramello.
♰ ✧ ♰ ✧ ♰ ✧
Capitolo 4 — Parte 2.
Non so se sia quel cibo ad attrarmi per la sua nostalgia… o se ho semplicemente fame, perché ho saltato la colazione anche oggi.
Sento l’istinto di rubare quelle pietanze invitanti ai defunti ma mi sembra una cosa moralmente discutibile da fare a dei morti.
Quindi mi trattengo.
(Nota per dopo: mangiare qualcosa che NON sia un’offerta per spiriti.
Questa è una cosa moralmente discutibile).
Vado via da lì per non diventare una criminale del mondo ultraterreno. E man mano che procedo verso il fiume, l’aria muta ancora di densità, divenendo sempre più rarefatta.
Qui, oltrepassando un cortile fatto solo di altri loti neri — che non fluttuano nell’acqua ma che muoiono al suolo — la realtà si dissolve e il tempo sembra ancora rallentare, ritrovando un ritmo antico, lento, come la percussione di uno strumento mai sentito prima, e che risuona nel silenzio, scandendo un tempo nuovo.
Un tempo che non mi appartiene, ma che in qualche modo non mi disorienta.
Lo sento mio.
Perché nella vita avevo bisogno di rallentare.
È frenetica la vita di chi ha degli scopi quotidiani. A volte vorrei non averli, e vivere come fanno queste anime.
Qui nulla muore, ma nulla vive davvero.
Il tempo non passa.
Un po’ come quando sei a cena con parenti che ti chiedono “hai il ragazzo?” ogni cinque minuti.
Questo sì, che è peggio di essere morti.
In questo spazio sospeso tra vita e morte, io mi sento persa e allo stesso tempo ritrovata, perché forse tutta questa inevitabile caducità che mi aspetterà in futuro mi ricorda di quanto io sia adesso viva nel presente, respirando quest’aria che non è aria e toccando questo suolo che non più è suolo, ma qualcosa di inspiegabilmente fluttuante.
E questa mia ritrovata curiosità riaccende in me una nuova vitalità.
Una che non sentivo da tempo e che pensavo di non poter più ritrovare.
Noto che amo stare a contatto con la morte, perché mi ricordano di essere viva.
♰ ✧ ♰ ✧ ♰ ✧
Man mano che cammino faccio diverse considerazioni non sense:
1. “Ma se tipo rubassi uno di quei loti neri per mio piacere personale, dite che la gente di questo posto si arrabbierebbe e mi inseguirebbe come quando provi a rubare il corallo alle Maldive durante una vacanza?”
Chissà.
Meglio non provarci.
Eppure sono tentata.
2. questo giardino sembra più gotico del profilo Tumblr di una liceale nel 2012.
3. mi aspetto di vedere all’improvviso spuntare un fantasma con le sneakers a scacchiere bianco nere e i capelli cotonati per dirmi:
“emo non è una fase!’.
Giuro che mi aspetto una cosa del genere.
4. Questo posto è decisamente più aesthetic del mio moodboard di Pinterest; e la cosa mi piace tanto.
Adoro questo posto!
Sono pervasa dai miei pensieri su ciò che provo quando ad un tratto alcuni fantasmi si palesano finalmente a me incuriositi dalla mia presenza.
Sono un’intrusa nel loro mondo dimenticato, eppure non mi cacciano.
Fluttuano a pochi centimetri dall’acqua, come falene che volano nella notte, attratti da ciò che desta in loro curiosità.
attratte da una lanterna accesa.
Ma la lanterna…
sono io.
Sono fatti di nebbia e silenzi, addobbati della loro evanescenza bluastra come il resto di ciò che mi circonda.
Nessuno cammina qui.
Nessuno ha più piedi.
Si librano nell’aria
sinuosi.
Sensuali.
Osservandoli, mi sembra quasi di percepire tutti i loro sogni infranti.
Ambizioni, desideri e amori che avevano in vita e che ora si sono rotti a causa della morte.
Queste creature che un tempo avevano aria nei loro polmoni, un cuore, emozioni proprio come me…
Ma che ora sono segnati dall’ inevitabilità di un tempo che si è fatto sentire e che, ahimè, non risparmia mai nessuno, nemmeno i più grandi e intoccabili.
Un giorno quel destino capiterà anche a me, e so già che non mi sentirò mai pronta a questo.
Anche se ho sempre avuto una certa fascinazione nei confronti della morte.
Diciamo che sono affascinata da entrambe le cose: vita o morte?
Lussuria o morale?
Bene o male?
Orfana o ragazza che tutto sommato ha una famiglia?
Una parte di me vorrebbe morire…
Credo che sia normale.
Un normale istinto dell’essere umano.
Il punto è che non voglio vivere in un mondo senza Sethar.
In un mondo in cui potrei non riconoscerlo più.
Come è capitato a questi fantasmi con i loro cari.
Quando raggiungerò la morte, voglio farlo insieme a lui.
Perché anche nella morte io voglio stare con Sethar e essere amata da lui.
Scommetto che lui vuole lo stesso per me.
Ma non ci penso, e mi faccio avvolgere dalla meraviglia di ciò che provo.
In questo momento sono pervasa dallo yugen, il mistero, nella sua essenza più pura.
Scorgo qualche ombra in lontananza che si avvicina verso me, scorrendo lentamente, perché non toccata dalla frenesia tipica di chi vive.
È così che si muovono i fantasmi.
Non sembrano ostili, eppure alla mia vista si muovono con l’inquietudine tipica di chi ha appena scorto un intruso e vuole andare a curiosare.
Alcuni spiriti mi stanno fissando. Uno di loro ha persino alzato un sopracciglio, squadrandomi da testa a piedi.
Non so come sia possibile, ma l’ha fatto.
È ufficiale: anche da morti, la gente ti giudica se esci senza trucco.
E, oh mio Dio, uno piuttosto carino mi ha anche sorriso.
Forse è single. Forse… è morto da solo.
Perfetto, almeno non dovrò conoscere i suoi genitori.
E non dovrò gestire una suocera gelosa!
Alcune di loro sembrano modelle di Victoria Secret fatte di ombre bluastre.
Saranno state mollate dai fidanzati e ora infestano questo luogo con il loro rancore.
Le capisco.
Anche io morirei se vedessi Sethar uscire con una con le tette più grandi di me.
Quelle presenze eteree scivolano verso di me, richiamate da un fatto nuovo, come increspazioni di un’ acqua dapprima calma ora mossa: sono i yūrei, spiriti deceduti trattenuti in questa vita dal desiderio, dalla colpa, dal ricordo o da altre motivazioni che non c’è dato sapere.
Fluttuano, sì, questi fantasmi.
Leggiadri, come sospinti da un’ aria che non sento, ma che in qualche modo percepisco.
Non toccano mai terra: si muovono senza fretta, senza scopo. Sono traslucidi, ma non invisibili. Alcuni conservano vaghe sembianze umane, molte sono belle donne uccise per motivi legati alla passione, altri sono solo ombre evanescenti in un bagliore azzurrognolo che hanno dimenticato loro stessi; figure smarrite tra ricordi che non riconoscono più.
Eppure non c’è orrore qui.
Solo una malinconia per ciò che è stato.
Mi accorgo che sono proprio loro l’essenza di questo fantomatico “Giardino dei Fantasmi” che risiede nella mia casa: un luogo sospeso, dove i confini dell’identità si fanno porosi e l’anima si specchia nella perdita.
Qui nulla muore, ma nulla vive davvero.
Ogni cosa è trattenuta in un eterno istante che non conosce più il battito, ma solo l’eco del suo ricordo.
Mi guardano.
E io li guardo.
Non mi parlano.
Ma so che mi conoscono.
Perché io sento di conoscere loro.
Il bracciale di giada striscia sul mio polso, riempiendolo tutto e risvegliandosi.
Come per avvertirmi di un pericolo imminente.
Che sensazione strana…
Ho paura, eppure continuo a camminare verso di loro.
Attratta dalla loro presenza.
༶•┈┈୨⎯༺🖤༻⎯୧┈┈•༶