♰ Capitolo 6: Cadendo nel Peccato ♰

il fiume dell'acqua che scorre al contrario

Perfetto…
Sono morta.

Uccisa come un’idiota dai fantasmi che stanno nel mio giardino.

Ma non mi dispero.
Non c’è alcun motivo per farlo.

Perché la morte è dopotutto soltanto un “non esserci più” dove si prova più nulla.

Dove non si soffre più.

Non mi dispero perché dolce è il sapore che mi entra adesso dalle narici fluendo nella mia gola mentre annego in queste acquee torbide senza fine.

Questo è il sapore di chi ormai si è lasciata sedurre dalle proprie menzogne per sopportare quella vita che spesso non è all’altezza delle proprie fantasie più sfrenate.

Adesso quelle allucinazioni ad occhi aperti diventeranno reali.

Questa è l’essenza di questo fiume che scorre al contrario: un luogo che rivela le proprie illusioni e i desideri più reconditi che stanno dentro a chi malauguratamente cade qui dentro.
E le illusioni, se le abbracci troppo forte, come me in questo momento, diventano cose simili a sinuose alghe marine che lentamente si impigliano a te mentre nuoti, avvolgendoti, abbracciandoti, anche se nel frattempo ti imprigionano, ti strangolano, mentre tu neanche te ne accorgi.

Le bugie sono dolci prigioni da cui è difficile evadere.

Così sprofondo.
In quell’acqua putrida.

Ma non con violenza.
Non con terrore…

Ma con uno strano sentimento di pace.

Perché so che sto morendo, ma è come se il mio corpo stesse finalmente cedendo al desiderio di arrendersi per sempre. A quell’ istinto che ho sempre avuto: l’istinto di morte; la dolce morte che seduce molto spesso gli animi giovani alle prime difficoltà.

Ma tutto questo non fa male; anzi questa è una sensazione piacevole, di caduta al nulla: di corpo che lentamente si abbandona a quest’acqua che scorre e mi ingloba.

I muscoli si rilassano e tutto diventa calma.
Il niente…

Finalmente le preoccupazioni svaniscono.

Infatti non oppongo resistenze mentre l’acqua nera mi accoglie come un grembo materno: il luogo dove tutto ha origine.
L’unico luogo dove tutto è perfetto.

Mi sento finalmente vicina a quella madre che non ho mai avuto, e da cui ho sempre bramato questo tipo di affetto: viscerale, intimo, accogliente, non giudicante; privo di quelle aspettative che emergono in un genitore soltanto quando emetti il tuo primo respiro.

Questo abbraccio che ora mi accoglie dentro di sé, mi fa sentire finalmente a casa.
Per la prima volta.

Questa stretta amorevole fatta di acqua amniotica mi tocca la pelle, le membra, i capelli…
Mi tocca e mi fa sentire amata.

L’acqua è fredda.
È calda…
È perfetta.

È tutte le cose insieme.

È una resa silenziosa, tenera, inevitabile. È un liquido che sazia la fame più profonda, quella dell’anima stanca di lottare ogni giorno, quella che cerca di colmare un vuoto che non potrà mai colmarsi nella realtà: il vuoto esistenziale che provano tutti gli esseri umani; che nascono, vivono, e muoiono soli.

Il vuoto di chi sa che si è soli al mondo, e che nessuno potrà mai capire ciò che hai dentro, perché siamo esseri a sé stanti e non parti di una coscienza comune.
… Ma quel vuoto è ancora più insopportabile per chi nasce senza l’amore di una famiglia.
E così, ancora una volta, sento il richiamo della dolce morte che gioca a sedurmi: una seduzione che va avanti fin da bambina, da quando ho scoperto di essere sola al mondo.

L’ho capito in fretta.

Adesso quella relazione con l’oblio la sto finalmente consumando nella maniera più voluttuosa; e ne sono felice.

Così sprofondo.
E più affondo, più la luce si allontana, inglobandomi all’interno di un abisso che pare senza fondo.

Vorrei risalire.
Ma non ci riesco.

Il mio corpo si abbandona a quella discesa solenne e onirica.

C’è una parte di me che urla ancora che vuole vivere, che scalcia, che cerca un appiglio, una spinta, una mano; e che si aggrappa alla realtà…

Ma ogni gesto è vano.

Perché non è l’acqua a trattenermi.
È il desiderio stesso di annegare, che è più forte dell’istinto di sopravvivenza.

È la dolcezza della resa verso queste illusioni ammalianti.

Sì, esatto: sono le mie stesse illusioni a spingermi verso il basso.

Non il fiume.

Non i fantasmi.

Sono io.

Forse sapevo benissimo cosa quella donna fantasma aveva in mente di fare, e volevo lo stesso fidarmi di lei solo perché bramavo cadere nel fiume per morire.

Perché anche adesso potrei scappare.

Non ci sono catene strette attorno alle mie caviglie che mi spingono verso il basso, né altri impedimenti: solo la mia volontà.

Sono io che mi abbandono con il corpo per accelerare quella discesa verso l’oscurità.

Fluttuando nell’acqua.
Fluttuando…
Come fanno i morti.

Questo è il fiume dell’acqua che scorre al contrario: un luogo che ti incanta mentre ti spegne la vita con dolcezza, senza fare male.
Che ti offre solo la visione che tu vuoi per te stessa: quella in cui la vita è andata diversamente.
Quella in cui hai detto le parole giuste al momento giusto, hai baciato il tuo filo rosso del destino, riso quando invece nella realtà hai pianto.
È qui che le illusioni diventano prigioni fatte d’acqua: prigioni che tu stessa agogni e che ti crei con la mente.

Così sprofondo.

Ancora.
È ancora.

Ed è lì, nel punto più basso, quando finalmente tocco il fondo dell’abisso, che le vere visioni iniziano a manifestarsi.

Sottili, liquide, voluttuose…
E bianche, come latte materno, che mi ciba di sogni in mezzo a tutto questo nero putrido che ho attorno; ma che mi culla come se fossi un embrione mai nato, al sicuro, con una famiglia.
Una madre.

Queste illusioni si insinuano dalle ciglia chiuse come vapore tiepido che riscalda l’anima. Poi sussurrano alle mie orecchie le più dolci parole, come una ninna nanna antica, in una lingua che non conosco e che eppure comprendo: la lingua del piacere.
Della beatitudine.

Dal nulla poi compare un volto.
Una stanza che non conosco.
Una casa che non ho mai abitato, ma che sento come mia.

Vivo un caos di memorie tutte belle.
Tutte piacevoli.
Tutte perfette.

Si manifestano come colori sgargianti fatti di punti luminosi che manifestandosi rilasciano ricordi nuovi e, insieme a loro, felicità totalizzante.

Sogni interrotti.
Vite alternative.
Memorie che non ho mai vissuto.
Ma che mi fanno sentire viva.

Mi scorrono davanti come pellicole di un film che non è mai stato girato.
Memorie di una me che non sono mai stata.

Poi una di quelle immagini, una soltanto, si fa carne.

Si ferma.
Mi tocca.
Mi chiama.

E io capisco: il fiume vuole darmi il suo colpo di grazia mentre mi seduce con quell’ ultima immagine perfetta fatta di piacere.
Vuole che io dimentichi la verità, e che scelga lei: l’illusione.

La parte più spaventosa di tutto questo è che… io ho già scelto quell’illusione.
Al posto della vita.

Per questo non riesco a risalire.

La visione si fa sempre più nitida.
Sempre più piacevole: non più ombre fugaci.
Non più punti colorati.
Ma pelle…
Fiato.
Respiro.
Mani.

Quelle di un uomo dietro di me…
E che mi fa sua, con la sua virilità, il suo dolce ansimare per me, e le sue spinte vigorose di uomo, di maschio, che mi desidera davvero.

In me, dunque, emerge un nuovo pensiero:

È questo ciò che desidero?

Essere posseduta da un uomo che nemmeno conosco?

È davvero questo ciò che sono nel profondo?

Se il fiume me lo mostra, immagino che sia così.

Forse sono solo una ragazza perversa.
Una lasciva, come le donnacce che mi hanno sempre impedito di essere: con gli abiti succinti, attraenti e femminili per non attrarre gli sguardi dei maschi.

Forse, in fondo, quegli sguardi degli uomini io li volevo.

E li voglio ancora.

Tocco lenzuola scure, che stringo nei miei pugni per lasciarmi a quel piacere intenso che mi concede quell’uomo.
Sono morbide come il velluto più pregiato, profumate del peccato, il nostro condiviso: un odore che non ho mai sentito, ma che riconosco come quello del sesso.

È il piacere più bello mai provato nella mia vita.

Forse è questo il paradiso.

Quindi è questo il sesso?

Ciò che fa impazzire tutte le persone…

Adesso capisco perché è così importante.

Perché corrompe gli uomini.

… perché tutto ciò vale ogni sacrificio.

Sento la sua presenza vigorosa contro la schiena, calda, bruciante come il corpo quando è sotto l’effetto della febbre.

Non vedo il suo volto, non lo riconosco, e l’idea di essere posseduta da un’ombra senza nome mi eccita.

Quello che faccio è un pensiero proibito e peccaminoso, eppure il mio corpo freme di piacere per il suo sovrastarmi.

Perché mi piace l’idea di essere l’oggetto del desiderio di qualcuno.

Essere oggetto, in generale.

Le sue mani sollevano la veste ampia della mia uniforme scolastica, per mettere in mostra quelle zone erogene che piacciono tanto ai maschi e che li rendono schiavi delle donne.
Sono nuda, davanti ai suoi occhi, con la mia intimità esposta per il suo piacere.

Nuda davanti a un uomo come le donne lascive e peccaminose che si concedono al peccato.

Perché so che questo intensificherà le sue spinte, e io quelle spinte le voglio.

Le sue dita mi sfiorano il corpo tracciando confini inesplorati: mappe che conducono in luoghi mai visitati da nessuno, e il cui accesso era sempre stato vietato dagli altri, anche solo con lo sguardo.

E io lascio fare.
Non oppongo resistenza.
Perché, in fondo, la cosa mi piace.

Sembra volermi molto.
Lo capisco da come mi ama.
Da come ansima per me.
Da come spinge sul mio corpo fragile e inerme.

Non pensavo che sarei mai stata così tanto attraente per un uomo, eppure oggi scopro di esserlo.

Magari dietro di me si trova Sethar.
Oppure qualcun altro.
Ma a me non importa…

Perché ciò che provo adesso è qualcosa di sublime: è la passione.
È la lussuria.
È quella cosa che esplode quando rimango sola nella mia stanza quando penso a Sethar, mentre esploro il mio corpo.

Questa volta, però quel piacere, me lo darà un uomo; e credo che sarà persino più intenso di quello che mi do di solito da sola.
Perché è il desiderio di un altro a renderlo più bello.

Sono lussuria e vanità.
Vanità e lussuria.
Nient’altro che questo, in questo momento.

Forse, in fondo, questo è tutto ciò che ho sempre ricercato: questo momento di piacere carnale.

Questa scossa che proviene dalle mie profondità che sta tra le mie gambe.
Un luogo proibito.
Ora contaminato da un uomo.

Questa dominazione fatta di spinte violente che sbattono sui miei glutei esposti, domandomi.

Ho ricercato questo piacere quando vedevo Sethar passare tra i corridoi del tempio, la nostra casa, con i capelli argentei e bagnati dopo aver concluso il suo bagno caldo da solo.
Avrei voluto accedere anch’io a quella stessa stanza solitaria e inaccessibile, dove lui rimaneva nudo e esposto; essere insieme a lui nella vasca, per dargli piacere sotto l’acqua.
A cavalcioni su di lui, con la sua passione dentro me per diventare una cosa sola.

Sentirlo dentro di me come ora sento quest’uomo sconosciuto nell’acqua che ci avvolge.

Forse questo che sto vivendo è quello stesso ricordo che ora si materializza.

Dopotutto, è un pensiero che ho fatto spesso da sola, ma che avevo represso dentro me; perché la mia casata mi aveva sempre insegnato che certe cose era meglio non farle.

Perché erano peccato.

Eppure, io quel piacere lo avevo sempre bramato e adesso l’ho fatto mio, grazie a quest’uomo che usa il mio corpo per il suo piacere, corrompendomi.

È sempre stato un istinto irrefrenabile, questo dell’amore.
Un istinto destabilizzante che annichiliva tutto il resto.

Questo fiume mi dimostra che il piacere fisico è ciò che ho sempre desiderato nella mia vita, anche se non volevo.

Ed è per questo che inarco la schiena.

Perché ne voglio ancora.
Voglio tutto di quell’uomo.

Il mio respiro si fa più profondo, il mio ventre si contrae per quell’essere misterioso che non so neanche se amo; e che eppure voglio.

Sento il calore avvolgermi, crescere, chiamarmi a una emozione di cui non ho mai sentito parlare, ma che ho provato tante volte nella mia camera.

Così dev’essere il peccato: una vertigine lenta che esplode nel basso ventre.

Una dolcezza sporca, ammaliante, umiliante che ti corrompe con grazia, facendoti stare bene, mentre le tue gambe tremano.

Lo sento ansimare.
Sto che sta accadendo qualcosa.

Forse anche lui sta raggiungendo quella stessa sensazione di beatitudine che io raggiungo con le mie dita quando le affondo dentro me pensando a Sethar.

Non resisto all’istinto di abbandonarmi a quel piacere. Così mi muovo contro il suo corpo per sentirlo più in profondità. Per stimolare il mio piacere e il suo.

Mi fa sentire viva veramente.
Come mai non sono stata.

Come se quella vissuta finora non fosse mai stata vita. Ma solo qualcosa che gli assomigliava, che si avvicinava: la sua versione grigia, e basta.

Lui mi prende.
Mi prende come se fossi sua.
Oggetto di sua proprietà da usare per i suoi scopi.
E a me piace essere dominata in quel modo.
Perché mi fa sentire sensuale come le donne lascive.

Le donne che mi hanno insegnato a non essere.

Il mio corpo risponde, si piega, si arrende al peccato.

Scopro il sesso. Scopro me stessa. Scopro che forse appartengo più al male che al bene, se il male ti fa provare certe cose.

E non mi importa più di nulla: né del mio voto di castità, della mia verginità, né dei miei poteri…

Ciò che mi importa è il piacere che la carne può insegnarmi.

Il piacere che vivo in questo momento.

Lui mi prende.
Ancora.
E ancora.

Usata come un oggetto.

Mi prende come se fossi sua.
Una sua proprietà.
Con passione totalizzante.
Bestiale.
Animalesca.

Come se il mio corpo fosse stato creato solo per quel momento.
Per il suo possesso.
E io…
Io non oppongo resistenza.

Mi lascio possedere.

Anzi, mi piego sotto di lui.
Gli offro tutto ciò che gli piace.
Tutto ciò che posso.

Le sue mani mi stringono i polsi dietro la schiena, poi con la mano spinge la mia testa contro il cuscino, in un atto di pura dominazione.
Mi immobilizzo, lui mi afferra i capelli e mi costringo ad arrendermi ancora più a fondo, con la schiena inarcata e la pelle in fiamme che brucia al suo contatto.

Mi apre.
Mi dilata.
Mi inchioda a ogni spinta.

E a me piace.
Quel tipo di piacere.

Mi muovo con una sensualità che non mi appartiene; come se il vuoto che mi porto dentro potesse colmarsi solo così: con il suo amore carnale.
Con la sua virilità.

Ma qualcosa cambia.

Sotto di me, l’acqua inizia a vibrare. Trema. Creando movimento. Come se qualcosa di vivo si stesse avvicinando a me.

L’uomo si stacca da me, lasciandomi sul più bello, mentre sento il mio corpo farsi leggero, poi scosso, strattonato, come afferrato da braccia forti e possenti.

Mi dibatto per un istante, confusa, amareggiata, ma sconfitta; anche se continuo a fare resistenza a quella presa crudele che mi tiene salda, infrangendo i sogni più belli; convinta che sia ancora parte della visione, parte del sogno, parte di quel peccato.

Qualcuno stavolta con male intenzioni; e per questo fremo dalla paura.

Ma mi accorgo in fretta che quello non è un sogno.
Non è più illusione.
E che io sto risalendo in superficie.

Qualcosa mi sta davvero trascinando fuori dall’acqua.

Fuori dal ventre nero del fiume.
Fuori da quel grembo materno fatto di illusioni peccaminose, ma sincere; sepolte a quanto pare nei meandri del mio animo corrotto di donna lasciva.
Fuori da quell’uomo che mi voleva.

L’acqua esplode in bolle, sputa via ogni menzogna che mi aveva traviata.
Il mio corpo riemerge da quel liquido, facendomi sentire come un neonato forzato alla vita.
Anche se lì dentro, nel grembo materno, ci stava più che bene.

Respiro.
Tossisco.
Riapro gli occhi.

E lì, sopra di me, un volto.
Non nitido.
Bagnato.
Bellissimo.

Lui.
Il suo fiato caldo sul mio viso. I suoi occhi — chiari, sinceri, preoccupati. Le sue mani grandi — che ancora mi stringono, tenendomi tra le sue braccia forti, come se non volesse lasciarmi mai più.
Come se fosse in pensiero per me.

Per la mia vita che poteva cessare da un momento all’altro.

Sento il suo petto ansimare all’unisono con il mio. L’acqua che cola ancora dai suoi folti capelli argentei, capaci di ammaliare qualsiasi ragazza.

Le sue dita che toccano la mia pelle nuda.

E allora capisco.

Sethar.

Sethar si è tuffato.
Sethar mi ha salvata.

… Il mio Sethar.

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