♰ Capitolo 12: Il Ragazzo Che Flirta Con La Tenebra ♰

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Ci gettiamo.

Non un salto, non una corsa, non urlo.

Ma soltanto un lasciarsi cadere tra le braccia dell’altro.

Sethar mi stringe con tutta la forza che ha, senza però farmi del male, e con quel gesto vuole comunicarmi soltanto una cosa.

“Per te ci sarò, sempre.”

Un giuramento che non mi esprime a parole, ma che io incido sulla mia pelle attraverso il suo tocco.

Scivoliamo insieme in un luogo che odora di trapasso e silenzio.

Non c’è luce qui sotto.
Solo la memoria di ciò che era luce.

Precipito nell’oblio trattenendo il fiato per rallentare il battito del mio cuore.
Altrimenti la morte potrebbe accorgersi di noi e ghermirci l’anima, per sempre.

«Non lasciarmi, Sethar» urlo, mentre mi lascio cadere nell’oblio, con la voce impigliata tra i denti.

Immagino che in questo momento mi starà maledicendo, perché con questo atto sconsiderato potrei averlo condannato alla morte per la mia stupidità.

«Ho paura: paura del buio, paura della solitudine, paura di un mondo in cui tu non ci sarai.»

Vorrei dirgli, ma trattengo per me i miei pensieri per non fargli correre altri rischi inutili.

Sethar non risponde.
Ma mi stringe più forte.

E questo già mi basta per non smarrirmi nella paura.

Il vuoto qui non è vuoto.
Ha consistenza.
Ha respiro.

È qualcosa di vivo.

Attraversiamo uno spazio fatto di frammenti di memorie attorno a noi: visioni che scorrono come affreschi liquidi sulle pareti in dissolvenza.

Ricordi di chi ha viaggiato in questo posto ed è rimasto intrappolato qui dentro.

Sono fatti di un verde smeraldo, i ricordi.
È questo il colore delle memorie degli altri.
Forse, perché ogni pensiero generato dagli esseri umani ha come sua matrice una qualche forma di speranza.

Chiudo gli occhi e trattengo il respiro per non richiamare la morte da noi.

La caduta dura dieci minuti precisi.
Lo so, perché li sto contando.

Ma non nel tempo vero.
È nel tempo dell’anima.

Un tempo che si misura in attimi di vita che sono stati significativi.

In momenti in cui aveva senso vivere.

Per questo per me la discesa dura poco: la mia vita è stata assai mediocre e piatta.
Così come quella di Sethar.

Cadendo, attraversiamo negli strati dello spazio tempo che sono esattamente tre.

Il primo è fatto di memorie passate, in cui rivedo mia madre in tutta la sua bellezza eterea.

La sua presenza mi manca.

Il suo volto tuttavia è annebbiato dalla distanza del tempo che si dilata e che diventa un miscuglio di passato e presente.
Rivedo me stessa con lei da grande, tra le sue braccia, come se fossi ancora una bambina.

Anche se nel suo abbraccio sono già grande.

Succede questo perché ci stiamo addentrando nel secondo strato con la nostra discesa accelerata, che è fatto di presente.
Quindi qualcosa deve essersi confuso durante il passeggio, alternando quella memoria.

Lascio mia madre al passato, dove è giusto che lei stia.
Dato che mi ha abbandonata.

Procediamo.
Cadiamo.
Ci perdiamo.
Ancora una volta.

E adesso siamo nel presente.

Qui sento la voce di Azrael che mi chiama “figlia”, ma che in fondo non mi considera tale.
Non lo fa perché non mi considera degna di quel ruolo.
Questo lo intuisco dai suoi gesti quotidiani.
Ed è per questo che mi rimprovera sempre.

Per fortuna il presente dura poco.
Come uno strappo durante una ceretta all’inguine: fa male ma è necessario viverlo.

È lo strato più veloce, per fortuna.

Nel terzo strato la discesa rallenta e io e Sethar iniziamo a fluttuare.

Temevo che lo schianto ci avrebbe fratturato il cranio.
E sono felice che non sia stato così.

Non so cosa vede lui…
Ma nel mio futuro c’è qualcosa di strano.

Si palesa a me una figura singolare.

Un ragazzo.
Solo.

Eppure non lo è mai veramente.
Perché la Tenebra lo segue a ogni suo spostamento, come se fosse un’amante gelosa ossessionata da lui.

Lui è al centro di quell’oscurità viscosa che lo pervade: una nebbia fitta dalle sembianze di bella donna che gli sussurra le più belle frasi d’amore.

Lei è un’ombra viva, seducente come la più bella tra le dee.
Afrodite nera fatta di fumo.

Lo vuole tutto per sé, e non gli lascia mai tregua.
Non gli consente di tradirla per uno spiraglio di luce.

L’oscurità lo seduce, lo brama.

Gli si avvinghia addosso in cerca di una luce di cui pare essere gelosa.

Una luce che non c’è.

Cerca in lui il chiarore, laddove non esiste.
Ma che lei tenta comunque di levargli da dentro.

Si comporta come le fidanzate gelose quando cercano il rossetto rosso nei colletti bianchi dei mariti.
O un profumo diverso dal solito.

Immagino che non accetterebbe mai di vederlo scegliere la pace al suo posto; ed è per questo che lo perseguita ovunque va.

Per la sua ossessione malata nei suoi confronti.

Per il suo desiderio di ghermirlo a sé, di tenerlo suo schiavo per sempre.
Pur di sentirlo cantare.

Lui le sussurra parole che si fanno musica nelle sue orecchie.
Frasi che pronuncia a un passo dalle labbra rosee, fatte però del male più puro.
Come per dirle:
«calmati, amore: sono tuo».
«Sarò sempre tuo, mia bella Tenebra»
«non c’è luce qui dentro: ci sei solo tu»

È questo che le dice mentre l’abbraccia e la bacia.

E nel farlo, canta.
Compone.
Fa tutto per sua ispirazione.

Si rivolge al vuoto.
A lei che è solo ombra, come chi sa che, nonostante tutto, non potrà mai essere compreso.
Nemmeno da lei che lo tocca così nel profondo facendolo soffrire.
Ma al contempo generandogli una qualche emozione.

Dolore ma pur sempre qualcosa.

Lui è solo anche insieme a lei.
Ma è da lì da cui trae l’ispirazione per la sua musica.

Si capisce bene il loro rapporto malato e controverso.

Eppure lui sa che ciò che ha dentro non potrà mai uscire fuori esattamente per come lo sente.

E io in questo lo capisco.

Provo la stessa cosa quando cerco di farmi capire dagli altri.
Non riuscendoci mai.

In questo sentimento siamo molto simili.
Perché è il destino degli esseri umani non poter essere capiti dagli altri esattamente per come siamo dentro.
E questa è la solitudine più grande.
Perché proiettiamo noi stessi negli altri: desideri, paure, aspettative… E non vediamo mai l’altro quando comunichiamo, ma vediamo sempre solo noi stessi.
Così non ci conosciamo mai davvero.
Tutte le persone non sono altro che specchi riflettenti fatti di carne e problemi irrisolti.
È una cosa normale degli esseri umani questa sorta di incomunicabilità.

Lui questo sembra averlo capito come al mio tempo l’ho capito anch’io.

E infatti lui si abbandona a essa, alla Tenebra, per cercare conforto. Con la consapevolezza però di essere solo, anche tra le braccia di lei che lo consola.

Le parole che le rivolge producono una melodia che non conosco ma che non sembra composta per lei.

Ma per me.

Anche se non mi conosce.

Quella musica la sento vivere dentro al mio petto stanco mai intaccato dall’amore.

Come se lui mi capisse.

E questo mi fa dire “casa”.

Il mio posto nel mondo.

Perché forse essere compresa è tutto ciò che ho sempre sognato nella vita.
E lui, con la sua arte, per qualche motivo, sa guardarti dentro.
Dove nessun altro arriva mai.

E finalmente mi sento capita.

Per le mie paure mai rivelate agli altri.
Per le voglie che mi bruciano tra le gambe.
Per tutto ciò che è in me e che mi fa paura.

Ogni nota è una carezza della libido.
Ogni frase, un bacio lasciato sul cuore e non dimenticato lì a marcire come mi sento in mezzo agli altri.

Quella canzone parla di me.
Anche se lui non mi ha mai rivolto la parola.

Non comprendo il linguaggio ma so che è mia.
Perché la mia anima si spoglia a lui per mezzo della sua voce.

Sì…
Perché quel ragazzo avvolto dalla nube d’ombra ha la capacità di spogliarti con una frase e leggerti dentro.

È come se mi avesse sempre conosciuta.

Come se mi avesse immaginata, nuda, vulnerabile, come mi sento adesso.

Con quella musica capace di spogliare. Fino ad accedere laddove gli altri non possono.

Il tuo universo interiore.

Non vedo il suo volto.
Ma la sua presenza è come un pensiero proibito, di quelli che si fanno nell’oscurità della notte col respiro spezzato e le cosce serrate.

Con la sua voce fa quello che fa l’arte quando è vera: ti sconvolge.
Ti fa arrabbiare per ciò che provi mentre lo ascolti.
E ti fa perdere nel pensiero.

E poi lui è bello.
Bello in modo divino.
Ma non di quella bellezza da vetrina.
Stucchevole.
No…
Lui è qualcosa di sacrilego, che ti inginocchia, e ti inchioda.
Che ti prende per la nuca per baciarti. E ti sussurra: «Inchinati e concediti a me.»
E tu lo fai.
Perché lui è sublime in modo che non si può dire attraverso le parole.
Come le cose che non sono di questo mondo.

Intravedo solo frammenti di ciò che è, eppure sono già sedotta: le sue labbra sono come ferite aperte che non si rimarginano, mentre gli occhi sono coperti dalle mani di lei che lo rende suo servo fedele e sottomesso.
Ma, nonostante gli occhi chiusi, la sua voce sa guardarti dentro.
Nell’anima.
Nel cuore.

Anche quando non ti osserva.
Anche quando non sa chi sei.

Lei gli si struscia addosso, come la più maliziosa delle femme fatale: lenta, bramante, sensuale, lambendogli la gola, il petto, e le anche per farlo tutto suo.

Lui non la rifiuta.
La ama.
Poi la odia.
Poi la prende.
Poi la lascia.

È un amplesso strano, perverso, a cui però non sa fare a meno.

Poi lui cede, lei lo domina, lui la scaccia.

Lei lo fa inginocchiare.

E lo adora, colma di desiderio e rancore.

Non si capisce se è l’Oscurità che lo possiede… o se è lui che, manipolandola, la tiene in pugno per produrre la sua arte.

Lui è fatto di buio.
È solo ombra come lei.

Eppure si vede che lui quell’oscurità in sé non la ama; e che forse in fondo cerca solo un po’ di luce.
Quella luce che lei gli cerca addosso.
Una luce che gli sfugge ogni volta che tenta di stringerla.

Non vedo il suo volto.
Il destino me lo nega.
Ma è inutile.
Perché non serve.
Ciò che emana mi trafigge.
Mi devasta.

Mi richiama a lui attirandomi a sé, al suo buio.
Proprio come lui è attirato da lei, il suo.

Mi fa sentire capita in un modo in cui nessuno è mai arrivato a capirmi.
Nemmeno Sethar.
Tutto per mezzo della sua voce.

La sua voce d’incanto.
E la sua bellezza che ferisce.

E mentre io cado e lui si dissolve…
io penso solo una cosa:

Cantami ancora.
Spogliami ancora.
Rovinami ancora.

Con la tua musica.

♰ ✧ ♰ ✧ ♰ ✧ ♰ ✧ ♰ ✧ ♰ ✧

Cadiamo.
E quell’immagine di ragazzo va via da me.

Sento già la sua mancanza.

Inciampo su qualcosa di duro, e mi rendo conto che abbiamo toccato il fondo.

Che sia quel ragazzo il mio futuro?

Mi chiedo tra me continuamente.
Incapace di passare avanti a ciò che ho appena visto.

Non sembrava affatto Sethar, eppure la fossa mi ha mostrato questo, e in questa visione deve esserci un fondo di verità.

Forse lo incontrerò a breve.

Le mani calde di Seth mi fanno dimenticare per un attimo quella figura strana.
Particolare.
Oscura.

Come avvolta da una maledizione.

I miei muscoli si irrigidiscono perché adesso verrà la parte peggiore: la terra ci coprirà del tutto impedendoci di respirare e rimarremo qui sepolti per 49 giorni.

La mia peggiore paura.

Quindi rimaniamo fermi in attesa dell’inevitabile.

Immobili come Orfeo e Euridice in questo regno di morte, dove nessuno dei due ha il permesso di voltarsi per guardare l’altro.

Ci sono delle voci, a tratti.
Voci che sembrano provenire dalle pareti.
Forse sono le stesse che sentiva Dante quando varcò le soglie dell’Inferno, ma qui non c’è Virgilio a proteggermi.

C’è solo lui.
Solo il mio Sethar.
Che non è esperto di questo posto come lo era “il maestro”.
E infatti le mie mani tremano perché forse da questo posto non ne usciremo mai vivi, e la morte verrà a prenderci.

I suoi capelli si disperdono a terra.
Il suo volto è teso, ma non spaventato.
Sembra avere il controllo delle sue emozioni.
Per questo mi lascio guidare.

E poi…
La terra inizia a muoversi.

Ma c’è qualcosa che mi protegge dalla paura.

Lui non ha mai lasciato la mia mano.
E in quel contatto, silenzioso ma assoluto, io capisco di non essere sola.

Lui mi stringe con più forza, e allora capisco che sta accadendo l’inevitabile…

Eppure l’orrore fa meno paura quando è una cosa condivisa.

Così mi rassereno.

I nostri corpi toccano una terra densa, carnosa che ci ingloba a sé.
Un grembo marcio.

Il suolo ci reclama.

Le zolle si muovono come lingue, come mani che ci toccano, che ci bramano.

Ci tastano, ci accarezzano, ci esplorano.

La terra viva ci penetra insinuandosi nei nostri vestiti, tra i capelli, fin dentro la bocca per soffocarci.

Sethar stringe la mia mano con più forza.
Forse anche lui, nel profondo, ha un po’ di paura.

«Non respirare, Nym,» sussurra, mentre la terra gli zittisce la parola partorita dal pensiero.

Io annuisco, senza mai avere il lusso di guardarlo in volto.
E in quel momento, lui fa qualcosa di completamente inaspettato.

Si porta le mani alla giacca.
La sua divisa impeccabile, senza macchia, quella che lo contraddistingue, e che lo nasconde da ciò che è.
E con un gesto lento, cerimoniale, si stacca un bottone.
Il primo in alto.

Quello in prossimità del suo cuore.

Quello che, secondo le antiche superstizioni dell’Accademia, non si dona mai.

Tranne a chi si ama davvero.

A chi si vorrebbe stringere anche dopo la morte.

Perché si può donare soltanto una volta nella vita, e mai più.

Il metallo scricchiola sotto la pressione delle sue dita delicate e dalle unghie bianche.
È un bottone con delle incisioni in oro: due serpenti intrecciati che mordono una mela rossa.

Il sigillo dei sacerdoti esorcisti che non cedono alla tentazione.

Me lo porge.
Le dita tremano, ma nelle sue intenzioni non tentenna.

È sicuro di ciò che fa.

Fermo nella sua decisione di concedersi a me.

«Tieni.»
La voce è rotta, ma solenne.
«Indossalo.»

Io lo fisso.
Regalare il bottone in prossimità del cuore è una cosa che fanno solo gli innamorati.

Non a caso viene chiamato: “Il bottone del legame eterno”

Non so come gestire quell’emozione.

Perché io, nella mia vita, non sono mai stata amata da nessuno.
E questo gesto, adesso, mi toglie il fiato.

Ma lui lo infila tra le mie dita.
Come se mi appartenesse da sempre.

«Con questo… potremo parlare, così non ti sentirai sola mentre saremo coperti dalla terra per 49 giorni.
Anche se sarai nel buio, io ti parlerò per tutto il tempo, Nym.
E nella testa, la morte non potrà sentirci.
Perché questo è un bottone impregnato di magia bianca.
Ma non dirlo a nostro padre, altrimenti si arrabbierà.»

Una pausa.
I miei occhi si chiudono per effetto della terra che si deposita sui miei occhi stanchi.

«Io ti sentirò, Nym» mi rassicura, dandomi il suo ultimo saluto. «Non ti lascerò mai sola.»

Stringo il bottone contro il petto per farmi forza.
Lo sento pulsare.
Caldo. Vivo.

Come se contenesse il suo cuore.

Mentre la terra ci avvolge completamente, diventando la nostra tomba, mi sento finalmente felice, perché Sethar mi ha detto di amarmi.

Ma le nostre mani d’un tratto si abbandonano, per effetto della terra che ci opprime e ci separa.

«Nemmeno questo inferno può separarmi da te, Nym.» urla come ultimo gesto disperato.

E la cosa mi scalda le guance, perennemente rosse per lui.

In quel momento, la terra ci inghiotte del tutto.

Ma il bottone pulsa contro il mio petto, insieme al mio bracciale di giada.

Il pericolo è in arrivo ma non mi importa.

Perché Sethar mi ha donato il suo bottone, e per me questo è l’unica cosa che importa adesso.