♰ Capitolo 16: I Guardiani del Portale ♰

Mi fermo davanti al cancello del famoso College dell’Occulto.

Quell’istituto governato da casi umani sovrannaturali ed eccentrici.

Due statue di giganti imponenti mi scrutano ai lati dell’ingresso.

Sono i due Niō: i guardiani che tipicamente proteggono la porta d’accesso di ogni luogo sacro.

Agyō e Ungyō.
Uno rosso l’altro blu.

Custodi millenari di quel college… con i loro colori distintivi: manifestazione di due aspetti opposti della natura dell’uomo.

Si muovono sinuosi.

Nelle loro pose dinamiche che suggeriscono prontezza all’azione in caso di intrusi indesiderati.

Li avevo immaginati diversi, ma adesso che li trovo davanti, la loro apparizione mi delude un po’.

Non sono come me li ero sempre immaginati.

Sembrano più due nonni rincoglioniti, pervertiti e muscolosi, più che due divinità minacciose.

Blaterano tra loro come cinquantenni al bar dopo tre sake di troppo, commentando l’universo con lo sguardo tipico di uomini che hanno visto troppe ragazze ballare online… e troppo poco Dharma!

Già, il Dharma: la legge religiosa nel canone buddhista.

Ciò che loro ovviamente hanno dimenticato millenni fa, e le loro azioni lo provano.

Un po’ deludente come scena…

Anzi, una scena davvero patetica.

Agyō ha la bocca spalancata.

Ma non perché stia urlando mantra sacri.

No…
Perché sta sbavando.

Sul suo petto scolpito — rigato di vene in rilievo, addominali a forma di loto e tatuaggi celesti in sanscrito sbiadito — cola un filo di bava mentre guarda un video di una cosplayer seminuda che fa la danza del Tanuki in versione e-girl.

Lo guarda su una specie di Tiktok sovrannaturale che sembra chiamare Hell-Tok.

Ungyō invece la tiene chiusa, con l’espressione seria tipica di chi ha appena letto i commenti sotto quel video.
Insulti per gli uomini come loro che guardano video di ragazzine ammiccanti che cercano nell’esternazione della loro sensualità una qualche forma di validazione. Attirando però soltanto gli sguardi sbagliati.

Sì, già…

Depravati.

È infatti quello che penso di loro.

Atteggiamento inaccettabile, anche se sei scolpito nel granito e risali all’epoca Nara giapponese.

«Yare yare…» dice Anyo. «Guarda come muove i fianchi questa ragazza: è la reincarnazione perfetta della dea del sole sotto acidi…» borbotta Agyō, con occhi spiritati e mani tremanti per l’emozione.

«Mi sento trascendere come se avessi letto mille sutra messi insieme», mormora Ungyō, sempre un po’ incazzato e sulle sue, ma complice negli sguardi. «Io la tatuerei sul chakra del cuore. Anzi, sul chakra del…»

«Ehm… scusate?!»

Li interrompo dal loro atteggiamento improbabile e discutibile.

Agyō si raddrizza di colpo, rinunciando alla sua tipica posa da scoliosi millenaria, e punta il suo dito scultoreo verso di me.

«TU! DEMONE LUSSURIOSO! TORNA NELL’ABISSO DA CUI SEI VENUTO! E LASCIACI IN PACE A GUARDARE LE RAGAZZE AMMICCANTI!»

Mi urla.
Mi intima.
Mi spaventa.

Sembro averlo disturbato.

Eppure non faccio che chiedermi…
«Eh?! Io? Demone lussurioso?»

La cosa mi lascia perplessa.

Perché mai mi ha dato del demone?

La cosa non mi torna, così cerco di correggerlo.
«Vedi che ti sbagli, guardiano zozzo. Io sono umana!» lo correggo.
Sperando che lui capisca.

Ungyō inclina la testa con un cigolio.

«Umana?» mi scruta un po’ meglio, poi mi lascia un sorriso sghembo. «Non direi proprio.»
Risponde con sarcasmo.

Si sofferma un po’ troppo sulle mie forme, e la cosa mi offende.

«Non ti permetto di darmi del demonio, guardiano depravato! Io sono una sacerdotessa esorcista! Una del sangue vivo! Una dal cuore puro… portami rispetto!»

Lui mi ignora e continua a scrollare.
Mi ignora del tutto.

Allora tossisco per richiamare la sua attenzione.

«Esigo rispetto.» mormoro a denti stretti. «Non potrei mai essere un demonio perché io sono una purissima vergine!»

La risata che gli esplode addosso è incontenibile.

«Vergine un corno!» blatera tra sé. «Hai l’aura da geisha sensuale del mondo fluttuante. Se fossi ancora in salute, ti avrei offerto una ciotola di soba e un appuntamento nella mia pagoda privata.»

Stringo i denti perché mi sento offesa un po’ da tutto questo.

È una molestia vera e propria.

Ma non voglio mettermi contro degli esseri sovrannaturali.

Così cerco di farmi valere ma senza indispettirli troppo.

«Io non sono un demone!» insisto.«Ti stai sbagliando, essere millenario!»

La bocca mi si asciuga per la rabbia mentre li insulto.

Ungyō sorride, e quello è peggio.
Mostra denti aguzzi, affilati come katane.

«Lo dici tu, demone che sei pura! Ma la tua energia… è oscenamente peccaminosa. Sai cosa sei? Sei una tentazione fatta di carne e incenso che brucia continuamente.»

Agyō annuisce, solenne.
Come se fosse d’accordo con lui.

Ugyo aggiunge, soddisfatto.
«E a me, bruciata o no, vai benissimo lo stesso, solo perché sei una ragazza».

Esplode in un’altra delle sue risate infine.
Poi aggiunge:
«Dopotutto, “a me piacciono tutte le baby”».

E inizia a canticchiare con Ugyo che gli fa da coro:

“Mi piacciono tutte le baby,
quelle che ti guardano con occhi discreti
(sì, dai, così!)
Con le curve o senza tette,
Quelle bionde o morette!
Mi piacciono tutte le baby,
e su questo non ci sono segreti!”

I due si scambiano uno sguardo complice.

Lui intuisce i miei pensieri e aggiunge:
«Sì, è una canzone molto popolare da queste parti: l’ha scritta Inari Ren»

L’opinione che ho per quel kitsune musicista peggiora sempre di più.

Mi sento infastidita da tutte queste parole inappropriate.

Una canzone misogina, oserei dire.

Ma non mi lascio distrarre dal loro cringe. E li insulto per ricordare a me stessa ciò che davvero sono.
O perlomeno non sono.
«Non sono un demone, stupidi Nio depravati!»

Alzo la voce.
Sperando che loro possano rimangiarsi cosa hanno osato dirmi.

Ma non lo fanno.
Anzi, mi trattano come se fossero genitori boomer sovrannaturali preoccupati davanti a un figlio problematico.
Perché mi dicono per umiliarmi ancora con il sarcasmo da giganti millenari: «È negazione spirituale, Angyo», mormora uno al suo compare.
«Classico caso di rimozione demoniaca da trauma», aggiunge l’altro in risposta.

Sbatto i piedi contro il pavimento.
Il nostro atteggiamento mi fa perdere le staffe.

«Ragazzi, non sono un demone, ve lo giuro!» insisto.
Pronta a farmi valere.
Perché anche se non dovrebbe fregarmene granché, l’opinione degli altri ha sempre contato molto per me.
E anche perché la cosa mi dà un certo fastidio, ammetto.

«Certo, certo». risponde uno dei due per deridermi.
«E noi siamo due influencer di buone maniere su Hell-Tube.» solleva un sopracciglio.

Helltube?
Immagino che sia il loro Youtube demoniaco.

Questi guardiani mi stanno prendendo per il culo.
Ho capito.

Ci ripenso un attimo, e in effetti, potrebbero anche avere ragione.

Dopo tutti i pensieri inappropriati che ho fatto ultimamente, non penso proprio di essere una vergine dal cuore puro.

Non così innocente come penso di essere.

“Sono un po’ tutta lussuria e vanità.”
Ma se devo essere sincera…
“Non mi sento colpevole di queste mie due metà.”

I due si bloccano.
Per un momento, sembrano diventare d’un tratto seri.

Il vento smette di soffiare. Il cielo s’oscura. L’atmosfera si carica di qualcosa…
…che puzza stranamente di giudizio cosmico.

Agyō si ricompone.
Le mani in posizione mudra, una posizione tipica dei Nio, mentre le pupille si dilatano, diventano due spirali psichedeliche.
Forse si sta per ricordare qual è il suo compito.
Che non è quello di cazzeggiare o vedere video di ragazze semi nude.
Ungyō lo segue, sincronizzato, schiena contro schiena, come un musical psicotico.
E io mi rendo conto che il momento è vicino: devo superare un ostacolo me lo sento.
Un indovinello per accedere alla porta.

Perché loro stanno lì per quello.

Così battono le mani due volte, poi si mettono in posa tipica da divi idol e… iniziano a cantare.
All’improvviso.
Senza senso come in un musical.
Con tanto di coreografia e balletto.

Forse è questo è il loro modo di propormi il loro quesito zen.

Parlano all’unisono, con un motivetto da karaoke non sense e iniziano a ballare il quesito in coro:

[Strofa I]

Se cambi la prua, se cambi la vela,
se il legno marcisce e il chiodo si sfila,
se un’altra mano ricompone il timone,
la nave rimane o muore il suo nome?

la nave rimane o muore il suo nome?

la nave rimane o muore il suo nome?

[Ritornello]

Chi sei, se ti disfai,
in ogni tua parte rifatta,
sei verità di ciò che sei stato

o sei una nuova cosa che si adatta?

Chi sei? Chi sei? Chi sei?

Tu essere che cambi?

Chi sei, se ti disfai,
in ogni tua parte rifatta,
sei verità di ciò che sei stato

o sei una nuova cosa che si adatta?

[Strofa II]

Se il volto muta, e se il cuore si svende,
sei sempre tu, o un nuovo essere?
Se nulla rimane del corpo,
sei sempre tu, o qualcosa in te è morto?

sei sempre tu, o un nuovo essere?
sei sempre tu, o un nuovo essere?

Chi sei, se ti disfai,
in ogni tua parte rifatta,
sei verità di ciò che sei stato

o sei una nuova cosa che si adatta?

Chi sei? Chi sei? Chi sei?

Tu essere che cambi?

Chi sei, se ti disfai,
in ogni tua parte rifatta,
sei verità di ciò che sei stato

o sei una nuova cosa che si adatta?

[Strofa II – conclusiva]

Se prendi quei pezzi e ne fai copia nuova,
la vecchia scompare, o è un’essenza che si ritrova?

la vecchia scompare, o è un’essenza che si ritrova?”

༺༻ ༺༻ ༺༻

La canzone si interrompe di colpo.
…lo riconosco immediatamente!

È il famoso dilemma della nave di Teseo.

L’enigma che ogni mente smarrita tenta di evitare.
Ma io… io ci sono cresciuta dentro.

Insomma, se cambi ogni parte della nave di Teseo ma quella nave continua a esistere è ancora la nave di Teseo o un’altra cosa?

È un paradosso sull’identità.
Su ciò che resta, quando cambi completamente te stesso durante la vita.

Su chi sei, quando non sei più quello che eri prima…

Non ho una risposta a quella domanda.

Non ho mai avuto una risposta chiara su niente in verità.

Resto in silenzio.
Il vento si ferma.
I Niō attendono.

Mi domando spesso se sono ancora io.

Se da quando sono nata sono rimasta la stessa o se tutte le variazioni e le esperienze fatte hanno fatto morire ciò che io ero agli esordi.
Quando sono nata.

Mi scervellò su quel quesito.
Ci penso e rifletto e la cosa mi fa fumare il cervello.

Ma proprio quando il mio dubbio sta per divorarmi, quando mi chiedo se sono ancora la stessa bambina che si aggrappava alle vesti di Azrael, o se nel frattempo sono diventata qualcun’altra con tutte le esperienze fatte negli ultimi anni, un rombo improvviso squarcia il silenzio.
Un suono cupo, profondo, come un basso trap sparato dall’inferno.

Alzo lo sguardo.

Una luce nera, avvolgente, esplode davanti a me.
Fumo.
Petali che volano al contrario.
(Non so se è una metafora poetica o se il mondo sta davvero impazzendo.)

E poi appaiono loro.

Quattro ragazzi bellissimi.
Camminano verso di me al rallentatore, come in un video musicale k-pop… ma con qualcosa di sbagliato.
Qualcosa di pericolosamente perfetto.

Capelli di colori impossibili, occhi che brillano troppo per essere umani.
Giacche lucenti, sguardo dannato, e la mia libido che cresce.
Uno mastica chewing gum. Un altro mi fissa come se sapesse tutto di me.
Il terzo mi fa l’occhiolino.
Il quarto… sorride. E quel sorriso fa più paura di mille maledizioni.

«𝘋𝘪 𝘋𝘐 𝘚𝘐… 𝘈𝘓𝘓𝘈 𝘋.𝘉.𝘊.!»
gridano in coro, con voce armonizzata e inquietante.

Io li fisso, a metà tra panico e confusione.

Sembrano usciti da un talent show soprannaturale.
Ma c’è una sola, scomoda verità:

sono demoni.
E sono proprio qui, davanti a me.

I miei acerrimi nemici.